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Imu e Iva non sono i veri problemi dell’Italia

Berlusconi non “stacca la spina a Letta” ma dovrebbe dare un messaggio chiaro su quello che il governo dovrebbe fare. L’Imu e l’Iva sono piccoli problemi, vanno affrontati i veri problemi: rilancio dell’economia e riforme che non costano.

1) PER RILANCIARE L’ECONOMIA:
L’austerità è controproducente: “Il momento giusto per l´austerità al Tesoro è l´espansione, non la recessione” (John Maynard Keynes, Lettera al Presidente degli Stati Uniti F.D. Roosevelt, 1937). A seguito della crisi, in Europa era nata l’idea che l’austerità potesse risanare l’economia. Ma Keynes toglie subito ogni illusione: “Se si ignora il problema della crescita il gettito fiscale dello Stato diminuirà e la situazione Peggiorerà”.

E, seguendo l’insegnamento di Keynes, gli USA e il Giappone (che ha un Debito Pubblico quasi doppio del nostro) hanno inondato, dopo la crisi del 2008, il loro mercato interno di nuova moneta (miliardi tanti per far ripartire – con buoni risultati – la loro economia). Non può, l’area euro, avere una moneta più forte degli USA, che hanno un PIL superiore a quello di tutta l’area che adotta l’euro. Gli USA hanno svalutato il dollaro per rilanciare l’economia.

L’Italia (se possibile alleandosi con tutti i Paesi in crisi depressiva) deve chiedere che si crei una banca di ultima garanzia e regole democratiche di gestione di una moneta comune. E deve finire la attuale regola che permette ad una sola nazione (la Germania) di bloccare ogni possibile adeguamento dell’euro ai valori reali.
Dobbiamo ritornare, come minimo, ad un euro pari al dollaro, stampando tutta la valuta necessaria al rilancio dell’economia. E sarebbero miliardi di euro.
La battaglia sulla sola IMU e sull’IVA sono battaglie senza senso se non si ascolta il messaggio di un ex Presidente di Confindustria,
Angelo Costa, che poche ore prima di morire, nel 1976, aveva detto quello che l’Italia avrebbe dovuto fare per non cadere in crisi depressiva.
ECCO LE NOTE DI COSTA:
Di Costa voglio ricordare degli scritti che mettevano in evidenza i pericoli di una politica che stava deviando dalle buone abitudini dei primi Governi di Einaudi e De Gasperi:
“Se un determinato provvedimento produce delle perdite, agire sugli effetti significa ripianare le perdite; agire sulle cause significa eliminare le perdite” .
Aveva pure detto, in uno dei suoi ultimi scritti:
“L’Italia è il paese, tra quelli ad economia più simile alla nostra, dove ci sono più occupati che non producono, dove s’impiega più manodopera del necessario, dove si lavora meno per maggiori ferie, orari ridotti, assenteismo. E’ il paese dove si fa più lavoro improduttivo e questo principalmente per effetto di leggi e regolamenti che invece di favorire la produzione la ostacolano. La pretesa di far aumentare i salari oltre il limite dell’incremento della produzione può creare soltanto inflazione”. Era uno scritto del 1976. E ancora il peggio doveva venire.
Poi aveva detto:
“Il primo punto sul quale si deve essere chiari è che la scelta di inserire la nostra economia in un ampio mercato al quale partecipano più ricchi di noi deve essere considerata irreversibile.
La scelta non può essere ragionevolmente contestata da chi vuole il maggior benessere dei cittadini italiani: se non bastassero le dimostrazioni teoriche c’è un’esperienza di almeno cinquant’anni che forniscono le prove più evidenti.
E’ vero che in una politica autarchica gli errori, quali quelli che sono stati commessi, hanno effetti meno appariscenti, ma la differenza è principalmente dovuta al fatto che la politica autarchica consente più facilmente di ripartire il danno su tutti i cittadini in maniera tale che essi quasi non se ne accorgano.
Indipendentemente dall’errore economico che rappresenta, una politica autarchica non può essere onestamente seguita.
Per convivere con altri paesi in un mercato comune, e comunque in un mercato internazionale, è necessario che siano rispettati certi rapporti di valori: non è necessario che ci sia parità nei valori assoluti.
Possono vivere in un mercato comune paesi ricchi con paesi notevolmente più poveri, paesi che dispongono di materie prime con paesi che non ne dispongono, paesi ricchi di mano d’opera con paesi che dispongono di poca mano d’opera: differenze molto elevate di valori assoluti rendono più difficile la formazione dei rapporti che sono essenziali per la convivenza.
Per una possibile utile convivenza è essenziale che esista una parità dei costi di produzione nel suo complesso e non per singoli prodotti: è proprio sui differenti rapporti di costi sui diversi prodotti che si basano gli scambi internazionali attraverso i quali i singoli paesi si arricchiscono.
E’ così che con mutuo beneficio possono convivere su uno stesso mercato paesi più ricchi e paesi meno ricchi, paesi con differenti tenori di vita.
A questo punto interviene il tasso di cambio. Il voler tenere un tasso di cambio per cui i costi complessivi in termini di moneta sono superiori o inferiori a quelli del mercato internazionale è un errore.
Se i costi di produzione in un paese espressi in valuta sono troppo elevati si incoraggiano le importazioni, si scoraggiano le esportazioni, si crea disoccupazione e si depaupera il paese: è quello che si è fatto in Italia da quindici anni a questa parte.
Se si commette l’errore inverso si spingono le esportazioni ma si hanno più sfavorevoli rapporti tra quello che si esporta e quello che si importa. In un paese come il nostro che esporta manufatti, cioè mano d’opera per pagare materie prime per la stessa quantità di materie prime importate, si deve pagare con più ore lavorative ed anche questo è un errore, meno grave per il fatto che le unità produttive vengono tutte impiegate ma vengono svendute”.
Costa aveva dato dei consigli che non sono stati seguiti quando il Pd ha voluto entrare nella moneta unica.

Mi pare che gli italiani debbano essere informati di come si potrebbe uscire da una crisi che ci sta massacrando a solo vantaggio della Germania.

2) QUALI SONO LE RIFORME CHE NON COSTANO:
Angelo Panebianco scriveva sul Corriere della Sera, prima delle ultime elezioni:
“Ciò che spaventa tutti gli italiani, in Italia e fuori, è che al momento delle elezioni, l’offerta politica risulti così destrutturata, così slabbrata, da non permettere la formazione di governi stabili. È comprensibile che i politici si preoccupino più del proprio destino che di quello che potremmo chiamare il ‘disegno più ampio’. Ma ci sono anche momenti in cui la stessa sopravvivenza a breve termine del politico dipende dalla sua capacità di guardare lontano. Il problema è che c’è ormai poco tempo per ridare funzionalità, attraverso una chiara ristrutturazione dell’offerta politica, a una democrazia che sappia fare i conti con vincoli esterni sempre più stringenti”.
Su il giornale di Roma Il Tempo” del 28 ottobre 2012 Francesco Perfetti appare, in prima pagina un articolo di Francesco Perfetti: “L’incognita del dopo Napolitano” che pone gli stessi inquietanti interrogativi.

E gli interrogativi si sono dimostrati giustamente irrisolvibili:

– infatti le elezioni non hanno dato la governabilità;
– la frammentazione delle forze politiche non ha permesso l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica;
– in questa situazione di confusione PD, PDL, Monti e Casini hanno dovuto chiedere a Napolitano di accettare la rielezione, impegnandosi a comportamenti collaborativi superando divisioni di parte e creando un Governo di solidarietà tra partiti avversari, pur di salvare la situazione;

Ma tra PD e PDL è presto ricominciata una mancanza completa di solidarietà, violando gli impegni presi con Napolitano. Berlusconi non togliendo l’appoggio al Governo Letta dovrebbe condizionare l’appoggio alla realizzazione di questo progetto:
Realizzazione di riforme costituzionali secondo il “manifesto Lib-Lab” proposto dal Pdl.
E’ assolutamente esatto quanto affermato dai promotori, che la nostra Costituzione sia stata molto influenzata dalla Costituzione francese del 1946. Nel 1948 l’Italia si è dotata di una Costituzione di “TIPO PARLAMENTARE”. Tutti i poteri sono demandati al Parlamento.
Non c’è dubbio che la Francia, con quella Costituzione, di tipo parlamentare, avesse prodotto fino al 1958 la bellezza di 22 governi.
E che quei governi abbiano gestito in modo disastroso le vicende di Indocina e di Algeria, creando il rischio di una guerra civile.

Questo dimostra che la democrazia parlamentare è fonte di guai.

Ma dopo quei 12 anni, disastrosi per la Francia, il Generale De Gaulle, chiamato da una sollevazione popolare a salvare la Francia, la ha completamente trasformata in meglio col Semi-presidenzialismo e con un Parlamento eletto in collegi uninominali, se necessario col doppio turno.
(Inserisco un mio ricordo: quelle modifiche costituzionali erano state alla base di un “Movimento per una Nuova Repubblica” creato dall’allora capo del Partito Repubblicano italiano, Randolfo Pacciardi. Un antifascista di sicura fede, combattente in Spagna contro Franco. I sostenitori del potere assoluto della partitocrazia parlamentare sono arrivati a dare a Pacciardi del FASCISTA per aver osato proporre la soluzione di De Gaulle ai politici italiani).

Io ricordo che quella battaglia era stata raccolta da un gruppo che nell’AREL aveva riunito: Andreatta, Umberto Agnelli, Celso De Stefanis, Zamberletti e Mariotto Segni e molti altri.
Io come azienda avevo sottoscritto una quota come socio sostenitore. Ci sono state interrogazioni, proposte parlamentari, imponenti manifestazioni che hanno creato grande adesione popolare, ma non hanno ottenuto l’obiettivo sperato.
Il nucleo duro della politica di allora non voleva dare al popolo la possibilità di scegliere direttamente i governanti. Non avrebbero più potuto “spartirsi il potere col Manuale Cencelli”. Non avrebbero più potuto governare senza il consenso popolare esplicito. Ma senza un potere delegato in bianco ai partiti come avrebbero potuto creare quelle ruberie di Stato?
E senza dubbio oggi la nostra Costituzione assomiglia ancora a quella francese del 1946. Le modifiche apportate la lasciano ancora così, ossia una Costituzione parlamentare, in mano a deputati e senatori nemmeno eletti dal popolo.

La proposta di Brunetta, Cicchitto e company ha esplicitato la migliore proposta per quello che riguarda la forma istituzionale da dare all’Italia, in questo momento: IL SEMI-PRESIDENZIALISMO ALLA FRANCESE, che è un sistema che ha dato buona prova di se, aiutando, in Francia, partiti che in precedenza erano frammentati e litigiosi, a orientarsi verso un assetto più stabile.

E tutti i partiti italiani, che sono in fase di ristrutturazione, di scelta col metodo delle “rottamazioni”, se si eleggesse direttamente dal popolo un capo dello Stato dotato di poteri esecutivi, eviterebbero una possibile ingovernabilità dopo le elezioni. Ma LA CASTA perderebbe i suoi poteri. E che per rendere governabile il nostro Paese si debba ricorrere a premi di maggioranza dati a raggruppamenti di partiti o movimenti che mettono insieme programmi spesso incoerenti, al solo scopo di vincere le elezioni ha dato risultati disastrosi. E il tanto vituperato (dalla sinistra di allora) premio di maggioranza proposto da De Gasperi e denominato “LEGGE TRUFFA” (che almeno dava un premio a chi avesse raggiunto il 50% più uno nelle elezioni) al confronto era una cosa tanto più onesta.
Infine il Semi-Presidenzialismo sul modello francese permettebbe di ricreare una migliore unità nazionale.
E un potere statale autorevole, perchè scelto dal popolo, sarebbe un ottimo contrappeso ad una devoluzione alle regioni di un equilibrato federalismo.
Soprattutto le crisi sempre più recenti troverebbero una soluzione democratica.
Non è possibile continuare nelle incertezze attuali, con le passate e presumibili future crisi che hanno generato il distacco dalla politica di quasi la metà degli italiani (e che hanno permesso a un comico che attrae tanti elettori da poter ormai divenire il secondo partito nelle previsioni di voto e che rischia di divenire determinante, mostrano una situazione di caos politico ormai disastrosa).

Evidente è il rischio di dover ricorrere ancora ad un NOMINATO perchè potrebbe mancare la possibilità di un governo eletto dal popolo. I francesi, che eleggono il loro Presidente e il giorno dopo sanno chi li governerà, hanno con la riforma di De Gaulle la possibilità di trovare un esecutivo valido il giorno dopo le elezioni. E non ci sono mai state interruzioni di legislatura. I Governi durano il tempo previsto dalla legge.

La proposta di elezione popolare del Capo dello Stato e di eleggere il Parlamento col sistema francese è certamente più democratico che dare a dei deputati (nemmeno scelti dal popolo) l’incarico di scegliere:

– il Presidente della Repubblica;
– il Presidente del Consiglio e i Ministri;
– di fare le leggi (spesso incomprensibili) con interminabili vai e vieni tra Senato e Camera dei Deputati.

Accettare un sistema che ha dimostrato, partendo da una base costituzionale similare, di funzionare bene da oltre mezzo secolo appare una scelta che non ha bisogno di tante ulteriori spiegazioni.
E se io avessi il grandissimo potere d’informazione che ha il Governo, suggerirei di non buttare questi mesi di attività parlamentare e presenterei:

– subito la nuova legge elettorale con elezione di Deputati e Senatori con collegi uninominali e, se necessario il doppio turno.

Poi presenterei, in prima lettura, come prevede la Costituzione, alla Camera e al Senato, le modifiche costituzionali:

A) elezione diretta del Presidente della Repubblica

B) riduzione del numero dei Deputati e attribuzione alla Camera dei deputati della attività legislativa con abolizione della doppia lettura delle leggi

C) attribuzione al Senato del controllo dei rapporti Stato – Amministrazioni locali.

Questo darebbe agli italiani la possibilità di avere un governo capace di affrontare le difficilissime situazioni nelle quali si dibattono gli italiani.

Soprattutto darebbe agli italiani la possibilità di scegliere una politica condivisa dagli elettori.

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