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Perché l’Iran ora cerca il dialogo con gli Stati Uniti

Pubblichiamo un articolo del dossier “Usa-Iran: distensione vera?” dell’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale.

Le ultime aperture del presidente iraniano Hassan Rohani nei confronti di Washington, in particolare lo storico colloquio telefonico con il presidente statunitense Barack Obama, hanno suscitato, negli ultimi giorni, l’attenzione dei media internazionali, provocando inoltre diverse reazioni sia all’interno degli schieramenti politici della Repubblica Islamica sia tra la società civile iraniana. Da un lato il fronte moderato-riformista, rappresentato dagli ex presidenti l’ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani e Seyyed Mohammad Khatami, sostenitori di Rohani, ha applaudito il presidente iraniano, auspicando una maggiore apertura da parte di Teheran nei confronti del fronte occidentale, in particolare verso Washington.

Gli ultraconservatori, invece, guidati dall’intransigente ayatollah Mohammad Taqi Mesbahe Yazdi, hanno attaccato Rohani, criticandolo duramente per aver comunicato direttamente con Obama, definendo l’apertura di Rohani verso Washington come un’azione politica in grado di provocare conseguenze negative per lo stato iraniano, avvantaggiando così gli Stati Uniti e Israele. Il sito d’informazione filo-conservatore ‘Bibaknews, ad esempio, in una nota critica, ha commentato la conversazione telefonica di Rohani con Obama con le seguenti frasi: «fare un colloquio con le autorità americane è una strategia politica perdente, già adottata, senza successo, dagli Stati arabi».

Anche il sito d’informazione Tribune Mostazhafin, vicino a Saeed Jalili, ex candidato conservatore alle presidenziali nonché ex capo negoziatore per il nucleare, ha definito negativamente il colloquio di Rohani con Obama, sostenendo come «il fatto di aver accettato il colloquio da parte di Rohani, rappresenti in se una prima concessione data da parte del governo iraniano a quello americano». Tuttavia, nonostante questa apparente disputa tra riformisti filo-Rohani e conservatori anti-Rohani, va sottolineato che il presidente iraniano aveva ottenuto, prima della sua partenza per New York, il “disco verde” sia da parte della Guida Suprema iraniana l’ayatollah Ali Khamenei sia da parte dei comandanti del corpo militare dei Pasdaran. La Guida Suprema, pochi giorni prima della partenza di Rohani, ha espresso il proprio sostegno al presidente iraniano, sottolineando come sia fondamentale intraprendere una nuova strategia in politica estera, basata sulla “flessibilità eroica” (in farsi: Narmesh-e Qahremanane). Ciò significa che Rohani ha lanciato chiari segnali di apertura verso Obama, forte del sostegno dell’estabilishment iraniano nel suo insieme. Tutto questo per poter allentare la pressione economica provocata dalle sanzioni in vigore contro Teheran e al fine di ottenere garanzie per la stabilità politica della Repubblica Islamica.

La reazione della società civile iraniana al primo colloquio, che avviene dopo oltre 34 anni, tra un capo di governo iraniano e un capo di stato americano, è stata particolarmente complessa. Sono tre le posizioni politiche significative che, al momento, si notano tra gli iraniani: i sostenitori dei riformisti sono soddisfatti di questa apertura, sperando soprattutto in un miglioramento delle condizioni economiche e in una maggiore apertura all’interno dell’Iran sia sul piano politico che culturale. I conservatori e i tradizionalisti invece sono molto critici verso questa apertura e parlano di tradimento dei valori rivoluzionari anti-imperialisti sostenuti dall’ormai defunto leader della Repubblica Islamica, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, il quale, a seguito della rivoluzione del 1979, aveva incentrato la politica estera iraniana su una linea anti-americana e anti-israeliana. Infine vi sono i laici e i liberali, critici e/o oppositori della Repubblica Islamica, presenti in particolare tra le nuove generazioni e tra la classe medio-alta, che sono contenti, in modo moderato, per il possibile allentamento delle pressioni economiche, ma considerano l’apertura di Rohani come una sofisticata tattica del regime al fine di superare questo momento di estrema difficoltà politica ed economica, con lo scopo finale di mantenere saldo il regime islamico.

Con l’elezione di Rohani alla presidenza, infatti, la politica estera iraniana ha subito un radicale cambiamento rispetto a quella adottata dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. La nomina, da parte di Rohani, di Mohammad Javad Zarif, noto diplomatico iraniano con importanti connessioni politiche nei circoli americani e britannici, ha rappresentato un primo chiaro segnale di apertura lanciato da parte della nuova amministrazione iraniana nei confronti della comunità internazionale. Infatti, sia Rohani sia Zarif hanno subito preso le distanze dalle posizioni negazioniste dell’Olocausto assunte da Ahmadinejad, precisando che si trattava di idee personali dell’ex presidente. Inoltre, in questi due mesi di governo, la squadra di Rohani ha tentato di rassicurare la comunità internazionale sul dossier nucleare, aprendo nuovamente le vie della diplomazia per giungere a un accordo internazionale sulla questione.

Qual è la ragione di questo cambiamento, da parte dell’Iran, sul piano della politica estera? Teheran sta affrontando un periodo d’instabilità sia sul fronte estero sia su quello interno: da un lato i cambiamenti strategici nella regione mediorientale stanno isolando, sempre più, la Repubblica Islamica e, dall’altro, le sanzioni economiche stanno paralizzando il paese, colpendo, in particolare, le classi meno abbienti. Tutto ciò mette in pericolo la stabilità della stessa Repubblica Islamica, alla ricerca della migliore strategia per uscire da una critica condizione. Negli ultimi anni Teheran è stato sottoposto a dure pressioni, trovandosi indebolita con alleati, sempre meno forti, quali il governo siriano, Hamas, Hezbollah e le formazioni politiche sciite irachene.

Anche sul fronte interno il malcontento serpeggia e, oltre a una buona parte della classe medio-alta e delle nuove generazioni (circa 50 milioni sono sotto i 35 anni su una popolazione di circa 70 milioni di abitanti), anche le classi meno abbienti, da sempre sostenitrici del regime, costrette dalla crisi economica, iniziano a essere critici nei confronti della Repubblica Islamica. Pertanto Teheran teme per la propria sopravvivenza e Rohani agisce quale condottiero designato dalla nomenclatura iraniana nel suo insieme, quella più intransigente unitamente a quella più riformista, per salvare la grande nave della Repubblica Islamica da un possibile naufragio. Questa situazione rende evidenti i motivi di opportunità che hanno spinto Rohani a cambiare, almeno sul piano formale, la linea di politica estera. Mutamento che sembra dare i primi frutti e aprire nuove linee di credito verso l’amministrazione iraniana e lo stesso presidente Rohani.

Pejman Abdolmohammadi è docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente all’Università di Genova e direttore del Think Tank Iranprogress

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