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La strage di Ustica e il dovere della verità

Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi 

Trentatré anni dopo, la giustizia civile ha “consacrato”, com’è scritto in un importante sentenza della Cassazione, quel che la politica e i governi hanno sempre evitato di certificare e talvolta addirittura negato. Che fu un missile ad abbattere un tranquillo aereo dell’Itavia il 27 giugno 1980. Portava ottantuno ignari passeggeri da Bologna a Palermo. Nessuno sopravvisse. Fu la “strage di Ustica”, come s’è scritto e ricordato per decenni, senza però mai arrivare a una verità consolidata neppure in sede penale. A oggi i colpevoli di quell’eccidio nei cieli del nostro Paese non sono stati individuati.

Ma un’altra sentenza di un’altra sezione civile della Suprema corte, la terza, pochi giorni fa ha aggiunto un ulteriore tassello di amara verità su quel massacro impunito. “Il depistaggio nelle indagini deve considerarsi definitivamente accertato”, hanno sentenziato i giudici, accogliendo il ricorso presentato dagli eredi di Aldo Davanzali. Era il proprietario dell’Itavia. Morto nel 2005, fino all’ultimo giorno ha ripetuto che nessun cedimento strutturale poteva aver colpito quell’aereo né vecchio né in cattive condizioni e con tutti i controlli a posto. Anche lui aveva prospettato la tesi del missile, prima ancora che essa diventasse l’ipotesi prevalente di quanti si sono dedicati a cercare di capire che cosa fosse successo sul volo di linea del Dc9 squarciato e scomparso all’improvviso fra le onde del mare senza un perché. Senza una risposta definitiva in tanti anni di ricerca. Senza che gli interventi delle autorità politiche e istituzionali preposte, dai primi interventi agli ultimi, abbiano fatto luce su una tragedia violenta da ogni punto di vista. A cominciare da quello dei familiari delle vittime, che continuano a pagare quell’urlo del silenzio: non sapere chi è stato a sparare il missile “da aereo ignoto, la cui presenza sulla rotta del velivolo Itavia non era stata impedita dai ministeri della Difesa e dei Trasporti”, come aveva scritto la Cassazione mesi fa. Concludendo che la tesi del missile, “risulti ormai consacrata pure nella giurisprudenza di questa Corte”.

E allora è arrivato il momento, pur così tardivo, per chiedere, a chi sa, di parlare. Di raccontare finalmente tutto. Sparare “un missile da un aereo ignoto” non è un’operazione promossa da e per pochi intimi, per quanto riservata possa essere stata, all’epoca. Per quanto taciuta sia ufficialmente rimasta in tutti questi anni. Molte persone sanno, diversi Stati sono stati nel tempo coinvolti per avere informazioni, tante inchieste giudiziarie, giornalistiche e perfino cinematografiche si sono succedute con l’unico, fondamentale e comune obiettivo di sapere. Sapere chi è stato, sapere perché è accaduto, sapere chi ha coperto o girato la testa dall’altra parte.

Il nuovo processo civile a cui la Cassazione ha dato via libera per esaminare eventuali colpe altrui nel fallimento della compagnia, che avvenne sei mesi dopo il disastro, impone anche il più alto atto di giustizia a tutti i livelli: ci dicano come sono andate le cose. Un obbligo che anche il governo ha tutto l’interesse a spingere con forza. Nessun segreto, nessuna eventuale (ma quale?) ragion di Stato, nessuna polemica tecnica o politica fra diverse ricostruzioni dei fatti, può più coprire il dovere della verità. Trentatré anni dopo.

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