Skip to main content

Sfascisti in azione dopo la Consulta

La Corte Costituzionale, bontà sua, ha riconosciuto al Parlamento, come ha precisato in un documento ufficiale dopo sei ore di camera di consiglio, che “può sempre approvare nuove leggi elettorali”, se ne avrà naturalmente la voglia e i numeri. Ma intanto dalla legge in vigore la Corte, in tempi assai più rapidi di quanto non fosse stato previsto o addirittura annunciato, ha soppresso il premio di maggioranza e le liste bloccate.

Il premio di maggioranza è stato bocciato perché sprovvisto di una soglia minima di voti – il cosiddetto quorum – necessaria perché possano esserne aggiudicati i seggi parlamentari alla lista o alla coalizione risultata vincente su tutte le altre, a livello nazionale per la Camera o regionale per il Senato.

Le liste bloccate sono state invece bocciate per l’impossibilità del cittadino di scegliere fra i candidati, che oggi risultano eletti semplicemente nell’ordine in cui i loro partiti o movimenti hanno voluto indicarli.

Sospettata, alla vigilia della sua camera di consiglio, di volersi mettere prudentemente in una posizione di semplice attesa, dal sapore inevitabilmente politico, la Corte ha voluto in qualche modo affrancarsi bocciando subito ciò che forse già da tempo voleva.

Ma, per quanto reattivi all’impressione di volere semplicemente guadagnare tempo, anch’essi in attesa degli sviluppi della situazione politica agitata dal passaggio di Silvio Berlusconi all’opposizione e dall’imminente elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd, i giudici del Palazzo della Consulta hanno dovuto lasciare ugualmente socchiusa la partita.

Bisognerà infatti attendere la pubblicazione della sentenza della Corte, che avverrà solo e genericamente “nelle prossime settimane”, per valutarne bene non solo “gli effetti”, ma la loro “decorrenza”, per ripetere i termini usati dagli stessi giudici. Decorrenza che realismo e buon senso vogliono non retroattiva, anche se già si sono levate dalla politica le solite e prevedibilissime voci degli sfascisti. Di quanti cioè ritengono di potere e dover considerare illegittimo questo Parlamento perché eletto con norme dichiarate non conformi ai principi costituzionali, e ne sollecitano quindi dai banchi dell’opposizione lo scioglimento più o meno immediato. Senza neppure aspettare una nuova legge elettorale, ma usando ciò che resta di quella approvata nel 2005 e usata per tre rinnovi del Parlamento: nel 2006, nel 2008 e a fine febbraio di quest’anno.

Se le cose dovessero stare come le immaginano i grillini e quanti altri da posizioni vecchie o nuove di opposizione reclamano urne immediate, si dovrebbe contestare la legittimità anche del presidente della Repubblica, eletto e confermato, nel 2006 e nel 2013, da Parlamenti prodotti dalla stessa legge elettorale parzialmente bocciata dalla Corte. Una Corte anch’essa sospettabile, paradossalmente, di illegittimità perchè composta anche, anzi soprattutto, da giudici nominati dal capo dello Stato o eletti dalle Camere in epoca successiva alla prima applicazione della legge nota come “Porcellum”.

Paradossi a parte, l’acceleramento dato a sorpresa da una Corte che sembrava tentata da un attendismo opportunistico obbliga obbiettivamente il governo e la nuova, più ristretta maggioranza che lo sostiene a trovare rapidamente un’intesa, quanto meno per adeguare la legge elettorale in vigore alle mutilazioni apportate dai giudici costituzionali. Che diversamente diventerebbe una legge proporzionale, com’era prima del referendum sostanzialmente maggioritario del 1993. Ma forse anche prima del referendum del 1991: quello contro le preferenze plurime, ridotte ad una sola.

Nella trattativa che attende la maggioranza su questo terreno risulterà naturalmente decisivo il ruolo del segretario in arrivo nel Pd, decisamente e dichiaratamente contrario al sistema proporzionale. Ma Renzi non potrà abusare del suo peso, facendo concorrenza a Berlusconi per “asfaltare” il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, senza mettere in pericolo il governo. Una cui caduta, proprio dopo la decisione della Corte, porterebbe alle elezioni con una riedizione del metodo proporzionale. E, dopo le elezioni, probabilmente ad altre obbligate “larghe intese”, alla maniera sperimentata in questa legislatura sino alla decadenza di Berlusconi da senatore e al suo passaggio all’opposizione.

Francesco Damato

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter