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The Butler, ovvero il maggiordomo che….ti aspetti

Fonte: www.hollywoodreporter.com
Fonte: www.hollywoodreporter.com

Il film The Butler, per la regia di Lee Daniels, racconta la storia vera di un uomo che fu, per 34 anni, maggiordomo della Casa Bianca.

Eugene Allen, fu intervistato da un giornalista del “Washington Post” e raccontò della sua lunga vita, durante la quale Eugene vide l’avvicendarsi di sette presidenti degli Stati Uniti e di tutta la storia che ruotò loro intorno. In questo modo Lee, regista e produttore, racconta, dal suo punto di vista, oltre 50 anni di storia americana.

Il cast coinvolto è d’eccezione e proviene non soltanto dal cinema ma anche dalla musica e dai salotti televisivi, tra gli altri si avvicendano Lenny Kravitz, Mariah Carey, e soprattutto Oprah Winfrey, in una splendida prova d’attrice dal godibilissimo risultato.

La trama è la storia della vita di Cecil Gaines, che da bambino lavorava con tutta la sua famiglia in un campo di cotone nel sud degli USA. La tragedia personale si consuma a pochi minuti dall’inizio della pellicola ma apre al protagonista la porta per costruire qualcosa di ben diverso cui la nascita sembrava averlo destinato. Sotto i suoi occhi di negro di casa, approdato tra le argenterie di un mondo patinato che altri potevano (e possono) guardare solo da lontano, il maggiordomo vive in simbiosi con le realtà presidenziali da Eisenhower a Kennedy, passando per Nixon e Reagan. E nel frattempo è anche la storia dei neri ad accendersi di quella spinta che le darà nuova forza propulsiva all’America tutta portando con sé svolte epocali e personaggi celebri come, tra gli altri, Martin Luther King e Malcolm X.

La chiave del film è proprio all’inizio dello stesso, quando una possidente terriera bianca, nell’insegnare al protagonista ad essere un buon negro di casa gli rivela una strategia fondamentale “non parlare, non fare rumore, deve sembrare come se tu non sia presente nella stanza”. Ed in effetti, durante l’intero corso della storia, si ha esattamente questa sensazione di assenza, come se l’uomo, l’attore ed il personaggio siano contemporaneamente spettatori di se stessi pur essendo presenti sullo schermo per farsi guardare, con uno sguardo silenzioso che colpisce nel profondo.

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