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Cosa fare contro la corruzione in Italia

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito su l’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi

La più esperta e mai tenera Corte dei Conti, che da sempre denuncia abusi, illeciti e privilegi del sistema-Italia, ha definito “esagerato” il primo e impietoso rapporto dell’Unione europea sulla corruzione nel nostro Paese. Ma c’è poco di che consolarsi. Anche se la stima della Commissione fosse eccessiva, e risultasse infondata l’indicazione di sessanta miliardi di euro all’anno (il 4 per cento del nostro pil) il valore, si fa per dire, del malaffare nel Belpaese, il problema è uno solo: che fare per reagire alla realtà e alla percezione di una corruzione dilagante e impunita. Non c’è bisogno, allora, dell’ennesima lezioncina di Bruxelles. Abbiamo già imparato da tempo e da soli quale sia il male oscuro che rovina la politica, mina l’economia, frena le speranze e induce tanti giovani ad andarsene.

Ma proprio perché il livello di indignazione generale ha raggiunto la soglia del “non ritorno”, a tal punto che dall’oggi al domani un partito ha potuto raccogliere il venticinque per cento dei consensi salendo sull’onda facile del “non ne posso più” (vedi Grillo), è arrivato anche il momento di estirpare il cancro corruttivo. Forse occorrono nuove e più rigorose leggi, come l’Europa sollecita, citando i cattivi esempi di prescrizioni, leggi ad personam, lodi vari, depenalizzazioni e via col solito elenco? Certo che sì: la legge è il fondamento dello Stato del diritto per contrastare lo stato del delitto.

Ma pur avendo l’Italia la legislazione più dura al mondo contro la mafia, essa ancora non basta per debellare la criminalità organizzata, per rompere ogni forma di contiguità fra delinquenza e politica, per scoprire le tangenti, per impedire i ricatti a cui sono sottoposti, specie al Sud, tanti inermi cittadini. Anche una buona legge ha bisogno di una cornice istituzionale di grande e duratura riforma, che consenta di rendere più efficiente l’intera organizzazione dello Stato, e che finisca, così, per incidere sul costume di una politica immobile e inconcludente. Nel pantano crescono solo le ombre.

Le riforme, quelle che da trent’anni infatti mancano, sono il primo antidoto contro il veleno del malaffare. Non la bacchetta magica, che nessuno può avere, né rivendicare. Ma l’indispensabile segnale collettivo perché la classe dirigente possa riscoprire, e far riscoprire, la forza invincibile della buona amministrazione invocata dagli italiani a prescindere da ogni posizione politica. Se le riforme aiuteranno a cambiare, sarà un bene anche contro il male della corruzione.

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