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Che fine ha fatto Milano tra Expo e Boccassini

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

È doloroso vedere Milano alla ribalta per una serie di vicende molto gravi, sotto il profilo morale e amministrativo. Vicende che seguono, a breve distanza il grande scandalo sanità. Il fatto che si parli di un nuovo scandalo, significa che, per ragioni tutte da esplorare, i protagonisti hanno tranquillamente deciso di sfidare il fattore giustizia: nella loro percezione il rischio era marginale e, quindi, il gioco valeva la candela.

C’è poi il paradosso dell’assenza della grande borghesia (classe portante dello Stato liberal-democratico) lombarda sulla scena delle responsabilità istituzionali meneghine. Del resto, non c’è una risposta ragionevole alla domanda: «Dov’è finita la borghesia italiana» (e, quindi quella milanese)?

UN SINDACO NELLA TRAPPOLA DELLA SUPERFICIALITA’

È vero che il sindaco di Milano, benché militi a sinistra, è un alto borghese d’altri tempi, per propri e paterni meriti. Ma è anche vero che la sua sapienza giuridica non morde e che, anche lui, cade nella trappola della superficialità, consentendo alla nomina di Alexander Pereira a Sovrintendente della Scala. Nessuno ha pensato ai possibili conflitti di interesse e, soprattutto, alla possibile disinvoltura di un affermato manager europeo rispetto a un problema del genere. Sarebbe bastato garantirsi contrattualmente. L’aspetto più sorprendente di questa insicurezza d’azione è il ricorso a esperti legali, quando il diritto amministrativo è una scienza compiuta nella quale è lecito confidare per risolvere in trasparenza le questioni più scabrose.

LO SCANDALO EXPO

Allo stesso tempo, Milano è devastata dallo scandalo Expo, non proprio inatteso, dato lo stile piuttosto disinvolto con il quale in Lombardia si sono affrontati i problemi di assetto del territorio, tra immobiliaristi in regime di monopolio, nuove autostrade dalle strutture contrattuali labirintiche (con privative definite negli atti costitutivi a favore di qualche studio professionale), e un progetto come l’Expo in perenne difetto di ossigeno per ritardi, che, ora è tutto chiaro, sono stati scientemente cercati per ricorrere alle scappatoie più azzardate. Tutto avviene mentre risuona l’eco, citata, del pasticcio sanità.

IL CASO BERLUSCONI

C’è poi il caso di Berlusconi, conferma pratica, inoppugnabile, della diserzione della grande borghesia lombarda rispetto al governo del Paese, acchiappato proprio da lui, outsider improbabile, disinvolto nella vita pubblica e in quella privata, capace di farsi organizzare festini a sfondo erotico nella propria casa da solerti procacciatori di escort. Infine, l’incredibile scontro nella Procura milanese, nel quale, a pelle, hanno tutti torto, coloro che sono al potere e coloro che lo subiscono, questo potere, e invocano presunte parzialità e sopraffazioni in via di accertamento da parte del Csm. Dimentichi del dovere di tutelare il prestigio conquistato (ancorché, poi dissipato), i magistrati della Procura (come accaduto così spesso altrove) si azzannano come i capponi di Renzo Tramaglino per Azzeccagarbugli, mentre il vento impetuoso degli scandali in corso, e le ultime folate di quelli già accaduti spazzano le stanze del potere milanese.

LA RESPONSABILITA’

Amaramente, occorre ricordare che è facile salvarsi l’anima gettando la croce addosso ai politici, quando la responsabilità è collettiva e coinvolge il rapporto dell’italiano con la norma, si tratti di scopiazzare il compito a scuola, di devastare le città per lottare contro la Tav, di bloccare –nello stile sudamericano- un’autostrada o di non pagare le tasse. Non c’è che dire basta, invocando, non l’uomo forte, ma il risveglio d’una coscienza generale che pretenda il rispetto della legge da parte degli amministratori, anche quando non è gradita, da parte delle autorità di Polizia, in disarmo rispetto alla microcriminalità che tanto colpisce i ceti più deboli della popolazione, da parte, insomma, di tutti coloro che hanno deciso, in mancanza d’altro, di lavorare nel pubblico impiego senza l’orgoglio di servire i loro concittadini con professionalità e moralità.

Un vano auspicio? Può darsi. È la mozione dell’onore, quello a cui così spesso si rinuncia, che deve essere ripresa e posta come precondizione di qualsiasi ragionamento.

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