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Tutti i passi (e i compromessi) verso l’Unione bancaria europea

Con l’approvazione del Single Resolution Mechanism (SRM) l’Unione Bancaria Europea ha compiuto un decisivo passo in avanti. Il SRM è, infatti, il secondo dei tre pilastri in cui è articolato il progetto. Il primo pilastro (Single Supervisory Mechanism) è in fase di più avanzata realizzazione e dal prossimo novembre trasferirà alla Bce la responsabilità della funzione di vigilanza sugli istituti di credito dell’Eurozona.

Il terzo pilastro – costituzione di un sistema unico di garanzia dei depositi – è stato realizzato, seppure con un ridimensionamento rispetto al progetto iniziale: è stata (per ora) ritenuta sufficiente una armonizzazione massima del funzionamento dei sistemi nazionali di garanzia.

Nell’arco di circa due anni, quindi, l’Unione Europea ha costruito l’intera architettura normativa di un’unione bancaria, un progetto che ha ricevuto il primo input politico solo a giugno 2012, nel pieno della crisi del debito sovrano. Un accordo la cui definizione ha richiesto ad ogni passo il consenso dei rappresentanti di quasi trenta Paesi è inevitabilmente segnato da compromessi e ha richiesto alcuni non secondari sacrifici rispetto al disegno iniziale.

Il risultato ottenuto, tuttavia, è di particolare importanza da un lato perché interviene su uno dei versanti più delicati del circuito economico, dall’altro lato perché è uno dei pochi terreni in cui si realizza un effettivo passaggio di sovranità dalle singole realtà nazionali a istituzioni comunitarie.

Gli obiettivi che l’Unione Bancaria Europea si propone di conseguire sono molteplici. Quello più immediato è l’interruzione del circolo vizioso che si può stabilire tra banche e mercati del debito sovrano.

Sul più lungo periodo all’Unione Bancaria si chiede di determinare un percepibile rilancio del processo di integrazione finanziaria europea. Il “ritardo” con il quale l’Unione Bancaria Europea è stata messa a punto ha comportato profonde conseguenze proprio sul terreno dell’integrazione finanziaria del Vecchio Continente.

In effetti i dati della Bce sull’attività bancaria cross border interna all’Eurozona documentano che (tranne qualche limitata eccezione) la recessione del 2008-09 e ancor più la crisi finanziaria del 2011-12 hanno determinato un quasi completo annullamento dei progressi fino a quel momento compiuti dal processo di integrazione finanziaria dell’Eurozona.

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