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Quella lezione del primo numero del Popolo di settant’anni fa

Il 6 giugno 1944, settant’anni orsono, data nota per lo sbarco angloamericano in Normandia, andò in edicola a Roma il primo numero de Il Popolo, quotidiano della Democrazia cristiana, con un titolo a due colonne a pagina intera: Con la liberazione di Roma si è iniziato il secondo fronte. Nel sommario in neretto si specificava il senso di una notizia così clamorosa: Questa mattina alle ore 6 truppe alleate sono sbarcate a Le Havre. Con questa importante operazione militare si è aperto il secondo fronte. Questo evento decisivo era subordinato al successo dell’azione per l’occupazione di Roma. Non sono trascorse 48 ore tra la liberazione dell’Urbe e l’apertura del secondo fronte.

A leggere titolo e sommario, sembrerebbe di trovarsi dinanzi all’incipit di un libro di storia scritto parecchi anni dopo quegli eventi fondamentali per la conclusione della II guerra mondiale. E invece si tratta della sintesi di un grande giornalista, politico e storico, Guido Gonella che, nell’ottobre 1943, era stato indicato da Alcide De Gasperi come direttore dell’edizione clandestina di una testata cara ai vecchi popolari e che s’impose subito come l’espressione più autentica e accreditata del pensiero politico del partito nuovo che, in parziale continuità ideale col vecchio partito popolare degli anni Venti, si affacciava sulla scena politica su una posizione originale: autonoma dalla Chiesa sebbene di ispirazione cattolica; decisamente democratica e aperta alle collaborazioni possibili con altre tendenze uscite dalla clandestinità.

Una curiosità. Il primo numero del Popolo mandato in edicola recava il n. 6 dell’anno II delle pubblicazioni. Nel frattempo, a cominciare dall’ottobre precedente, erano stati pubblicati in effetti 5 numeri alla macchia, con una circolazione ovviamente limitata e sui quali erano comparse le prime indicazioni programmatiche di De Gasperi che davano ufficialità ai non sempre omogenei orientamenti dei primi ricostruttori della nuova Democrazia cristiana: quelli che si erano proposti nelle poche giornate e negli scarsi spazi operativi consentiti dai limiti imposti ai partiti dal governo Badoglio e del tutto vietati sotto l’occupazione nazifascista della capitale e di buona parte del territorio nazionale.

Quel primo numero del 6 giugno 1944 richiamò subito l’attenzione di lettori non abituati a leggere giornali liberi, che davano notizie e fornivano opinioni dissonanti con quelle consentite dalla polizia dei governi trascorsi. E, tanto per puntualizzare un orientamento e un proposito tipici del partito nuovo, in una manchette che sovrastava la testata, si specificava in estrema sintesi il progetto originale della Dc: Una democrazia rappresentativa, espressa dal suffragio universale, fondata sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri, e animata dallo spirito di fraternità, che è fermento vitale della civiltà cristiana: questo è il regime di domani.

L’editoriale, firmato con una G. (cioè del direttore Gonella) non lasciava spazi ad incertezze. I nuovi democratici cristiani si presentavano come forza rappresentativa di un popolo minuto di persone libere che non avrebbero più consentito il ritorno alle barbarie e ai totalitarismi.

Vi si leggeva: «Voi sapete come noi che il popolo italiano non ha voluta, non ha sentita, e non ha combattuta la guerra di Mussolini. Ora di Roma potete sentire vibrare l’animo di questo popolo. Esso, come sapete, è un popolo di antica dignità, perché ha dominato il mondo con le armi e con lo spirito. Ma non si accontenta di starsene assiso sulle sue tradizioni così profondamente incise nelle pietre eterne che voi vedete, perché sa che le grandi virtù si conservano ma riconquistandole. Ha già dimostrato al mondo, dopo secoli di servaggio, come la vera e grande idea di unità e di indipendenza abbia saputo trovare cuori e baionette. È una storia molto recente per noi popolo antichissimo; e quello che fu la virtù dei nostri padri si traduce oggi, dopo una sconcia parentesi di farse cesaree, in una rinnovata virtù di figli che hanno ritrovato la strada per una guerra con voi comune alla nostra patria di quelle libertà per le quali lottarono gli uomini di tutti i tempi, dalle catacombe cristiane alle nuove insanguinate fosse ardeatine. Coloro che alla servitù preferirono la persecuzione, coloro che hanno il culto della virtù romana e cristiana che fiacca i superbi ed esalta gli umili, sentono oggi l’imperativo morale civile di proseguire, accanto agli alleati, una lotta che ci riscatta dalle eclissi spirituali della nostra recente storia e che ci rende degni e capaci attraverso ad una già dura espiazione, di cooperare efficacemente al rinnovamento di un costume e d’un mondo che crolla».

Dedico questo rigoroso, orgoglioso e tuttavia sobrio biglietto da visita col quale il partito nuovo si presentò ad un popolo di uomini liberi che tornavano a godere delle libertà antiche e di quelle sognate per l’avvenire, ai democratici cattolici e laici che, oggi, si trovano smarriti dinanzi a realtà inedite e da superare con razionalità e decisione, perché traggano profitto per una lezione di democrazia, imprescindibile per qualsiasi ipotesi di unità nel segno della libertà, non in quello d’un vassallaggio materialista, monetarista, lontano dagli interessi del popolo minuto.

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