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Matteo Renzi secondo Luciano Violante

Estratto dal libro “Il primato della politica – Dialogo sul potere, la fiducia, il rispetto” (Rubbettino) di Luciano Violante e Mario de Pizzo

Il primo dicembre 2013 Matteo Renzi diventa segretario del Partito democratico, con una chiara vittoria alle primarie. Appena due mesi dopo è premier. Poco prima di San Valentino dà il ben servito al suo «compagno» di partito Enrico Letta, con il beneplacito della direzione democratica. Una storia d’amore e di coltello che senz’altro ci consegna un leader. Presidente Violante, Matteo Renzi ha restituito la politica al suo primato?

Le prime settimane di Matteo Renzi, presidente del Consiglio, sono vissute sotto il segno del primato della leadership, della esposizione mediatica, della velocità di decisione, delle intese tra leader. Burocrazia e tecnocrazia sono scomparse dall’orizzonte. Da questi punti di vista è innegabile il ritorno al primato della politica intesa come spettacolo, occupazione della scena; ora attendiamo la capacità di governo. I fatti mancano perché è ancora presto (marzo 2014), ma credo che li vedremo perché Renzi non può permettersi né sconfitte né flessioni. Se la politica prevarrà sulla burocrazia e sulla demagogia ci sarà la svolta. Alcuni episodi degli ultimi mesi potrebbero farci essere ottimisti. Matteo Renzi ha fatto sempre e solo politica; si misura, combatte e rischia. La sua ascesa a Palazzo Chigi testimonia come la politica possa essere contraddittoria e brutale. Mettere in contrapposizione i mercati rionali con i mercati finanziari – come ha fatto nel suo discorso di richiesta di fiducia in Parlamento – significa restituire alla politica una dimensione popolare. La sua sfida è riuscire a riallacciare i fili tra società e politica. Lo fa in due modi: chiamandosi fuori dal circuito del potere e attivando la rete. A Palazzo Madama, sempre nel corso del dibattito sulla fiducia, ha marcato una distanza tra sé e i senatori, dicendo «noi e voi». La velocità è necessaria per governare una delle più civili e impegnative democrazie del mondo. Ma non deve diventare frettolosità, trascuratezza di fattori essenziali per la qualità e l’efficacia della decisione. Ora Renzi deve agire e guardarsi da se stesso. La separazione dal mondo politico dopo un po’ che si sta a Palazzo Chigi diventa non più credibile. La presenza sui mezzi di comunicazione può portare al logoramento. Renzi va sostenuto, ma anche lui deve darsi una mano.

Si tratta di un’irruzione fortissima sulla scena del potere. Di un percorso costruito, però, nel partito. Un’ascesa cominciata col tema della rottamazione, della rottura con il passato, della «cacciata» della classe dirigente che lo ha preceduto, spesso definita stantia e inefficace.

Bisogna riconoscere i suoi meriti. È partito da una sparuta minoranza, ha conquistato il partito e il Paese, ha fatto esplodere il centro e la destra. Renzi segna davvero la fine della classe dirigente e delle convenzioni della Prima Repubblica. Questa classe dirigente – quella della mia generazione – ha pensato a se stessa come frutto di una necessità quasi teologica e non ha preparato il ricambio. Renzi è il frutto e l’interprete più autorevole della frattura generazionale. Ma si accorgerà che non può agire da solo e non può farlo solo attraverso la comunicazione.
Ha bisogno di una comunità, ha bisogno del partito, che poi tenga giorno dopo giorno il rapporto con i singoli cittadini in carne e ossa. Finora ha usato il partito come piedistallo o come propellente. Ora deve costruire una comunità politica pluralista, che rispetti il principio di maggioranza ma che al tempo stesso sia capace di discutere. Il rapporto con il territorio non si può esaurire con una visita alla settimana in una scuola; alla quarta visita la gente spegne il televisore. Senza contare i danni che possono arrecare a lui e alla immagine del Paese improprie manifestazioni di servilismo. Il rapporto nella realtà, sul territorio, lo tiene quotidianamente il partito. La tv è micidiale, ti dà il palcoscenico e poi ti divora.

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