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Bene l’opposizione politica di Forza Italia

Un partito di opposizione politica seria e di collaborazione costituzionale leale è uno strumento di semplificazione e di vitalità istituzionale, non una formazione ambigua e opportunista. E fa bene come terapia ad un sistema complessivo che non è più bipolare, non è riconducibile ad un modello tripolare in cui una gamba è antitutto, mentre l’economia nazionale non è risanabile con un cedimento all’infinito a regole – dettateci dall’esterno – di austerità massima e di flessibilità minima, anzi negata.

Non parlo di un movimento di lotta e di governo, come continua ad essere il Pd. Intendo riferirmi, al contrario, ad una formazione politica responsabile che non accolga i vizi strutturali dei poli consolidatisi nell’ultima consultazione europea e attiranti voti grondanti protesta più che propositività.

Un partito siffatto, come risulta dalla recentissima assemblea dei suoi parlamentari, si chiama Forza Italia, che mostra consapevolezza delle proprie difficoltà (anzitutto di carattere finanziario interno), ma anche di proporre alla nazione un’offerta politica più aderente agli interessi e agli orientamenti prevalenti nella complessa comunità italiana. La Forza Italia che c’è prospetta una strategia praticabile e non velleitaria. Evidenzia il senso di responsabilità del proprio gruppo dirigente, più o meno compatto. Resta per natura, e per rilievo parlamentare, il perno di uno schieramento di riferimento – concreto e non presunto – per milioni di italiani che ultimamente si sono rifugiati nell’astensionismo (astrattamente il più numeroso partito italiano), cercando di riacquistarne la fiducia. Soprattutto, così presentandosi e procedendo all’opposizione di un governo che non ha espresso, ma collaborando con esso e con la sua maggioranza parlamentare sul terreno delle riforme complessive, anzitutto quelle costituzionali, tale partito rappresenta uno strumento utile e valido per riportare l’Italia ad un livello di reale incidenza nei cambiamenti strutturali che gli italiani attendono da decenni in parecchi comparti della società e dello Stato.

Un partito che ambisca a rappresentare la cultura, gli interessi, la sensibilità dei ceti centristi e moderati di una comunità nazionale sempre più delusa dal pressappochismo e dalle ambizioni eccessive di elementi che, dopo essere stati cooptati, si considerano il centro dell’universo mondo – aumentando confusione, stordimento e sfiducia nella politica -, non può essere uniforme al proprio interno; e, nel contempo, non può abbandonarsi ad un assemblearismo apparen¬temente libertario e sostanzialmente inconcludente. Un partito libero e consapevole dei propri limiti oggettivi (come tutte le formazioni politiche non ideologiche e risultanti da confluenze plurime), necessita di unità nella diversità. Di essere ed apparire alternativo alla sinistra. Di possedere una capacità propositiva: che non è data dalla più giovane età, bensì dall’accordo fattivo e fecondo fra giovani che vogliano concorrere a creare il proprio futuro e anziani che sappiano loro indicare le modalità più democratiche per pervenirvi.

Un partito che esprima orientamenti comuni ai ceti centristi e moderati, è anche altra cosa rispetto alla destra, persino la più moderna. Così come la sinistra non può pensare di rafforzarsi rubando il mestiere ai moderati che, nel loro bagaglio culturale, possiedono ben altro che l’egemonismo gramsciano e l’avanguardismo giovanilistico.
È doveroso chiedersi se abbiano un futuro gaudioso i micropartiti che immaginano il loro ruolo nella misura in cui occupano spazi ministeriali conseguiti in rappresentanza di un partito d’origine dal quale si sono dissociati. O se la loro identità possa esaurirsi nel distaccarsi per poi riallacciarsi in virtù della più giovane età di una parte del suo ceto politico forgiatosi altrove.

Con tutta la buona volontà, non vedo come un centrista possa preferire la testimonianza interessata del piccolo alla rappresentanza consolidata del più grande, di per sé propositivo e in possesso di una visione strategica della politica. Così non nego il diritto ad altre personalità ad occupare gli spazi dei centristi e dei moderati, se quanti si affannano in tale impresa non fossero già stati sperimentati di recente senza lasciar traccia positiva di sé nel franco dibattito politico nazionale che, in qualche modo, negli ultimi mesi va raddrizzandosi.

Costituire nuovi micropartiti può compiacere i diretti interessati; ma non indica né assicura una prospettiva riformista realistica al paese. Sicché, accantonando i propri pregiudizi coltivati nell’ultimo ventennio, giovani e anziani possono ben collaborare senza fare, del cosiddetto cambio generazionale, un campo di scontro senza sugo né sapore.

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