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Intesa, Mps, Unicredit e non solo. Tutte le follie bancarie dei regolatori. Parla Masciandaro (Bocconi)

“Prima della pubblicazione dei risultati degli stress test il mio timore era che uno strumento molto tecnico potesse essere frainteso se trasformato in un metro di valutazione pubblica delle banche. Purtroppo è successo”. Così dice a Formiche.net Donato Masciandaro, direttore del Dipartimento di Economia dell’università Bocconi, ed editorialista del Sole 24 Ore, che ritiene il test in sé una non soluzione e il modo in cui è stato trattato dai media addirittura dannoso.

Perché è critico con gli stress test?

Lo stress è una simulazione in cui si prendono i dati dei bilanci bancari e si ipotizzano condizioni macro avverse. Una metodologia rispetto alla quale ho alcune perplessità: la prima è che ciascuna banca è diversa dalle altre e dunque sottoporle a condizioni avverse uguali non ha molto senso. Il grado di robustezza di ciascuna banca dipende dalle singole caratteristiche, allo stesso choc si possono avere reazioni potenzialmente diverse. E mi interessa sapere di più a quali condizioni ciascuna banca potrebbe fallire, che conoscere il livello di stress a cui la maggior parte di esse resiste. Mi piace fare un paragone con il mondo delle auto: il crash test misura a quale velocità ciascuna macchina va fuori pista e non a quale velocità la maggior parte delle macchine rimane in pista. Il primo dato è interessante, il secondo no. Inoltre ed ovviamente i risultati dei crash test  rimangono informazioni private tra le case automobiliste ed i responsabili della sicurezza, non sono certo dati in pasto al pubblico dei non addetti ai lavori.

E poi c’è la questione del modo in cui i risultati sono stati trattati e comunicati…

È importante capire che le assunzioni sulle condizioni avverse sono assolutamente soggettive e quindi opinabili; non sono previsioni, né proiezioni. Se si rimane nell’ambito dell’analisi scientifica tali caratteristiche sono ben note a chi utilizza gli stress test. Se trasformiamo uno strumento tecnico in uno strumento di valutazione pubblica delle banche ci possono essere fortissimi errori ed è purtroppo quello che è successo.

Nel dettaglio, cosa è successo?

Due cose: da un lato le valutazioni sulle banche sono state più di una. E per la precisione sono state sei: a Francoforte la Bce comunicava tre pagelle, una relativa alla valutazione del bilancio e due relative ai risultati di due diversi stress test, uno dolce e l’altro più avverso. Però le tre pagelle erano legate ai dati di dicembre 2013. A Roma nello stesso momento con i dati aggiornati Banca d’Italia dava altre tre pagelle e i risultati di queste sei tabelle erano completamente diverse: a Francoforte 8 banche su 15 non superavano la valutazione di bilancio e 9 erano bocciate allo stress test duro. In Italia, invece, tenendo conto dei dati al 2014, tutte le banche superavano il test di bilancio e solo due non superavano lo stress test duro: Mps e Carige. Quindi i media si sono trovati di fronte sei pagelle diverse con un numero di banche sotto osservazione da 9 a zero. E soprattutto taluni media internazionali che hanno la propensione a dare bastonate al sistema Italia in particolare e all’euro in generale, non hanno perso l’occasione per poter titolare che 9 su 15 delle italiane erano a rischio.

Si è fatto tanto parlare di trasparenza. Ma alla fine Francoforte ha penalizzato, in nome di questa trasparenza, le banche italiane con un business tradizionale e non quelle che di mestiere fanno finanza.

Esattamente. Le banche italiane sono state penalizzate perché erogano troppo credito, perché lo hanno fatto anche nel picco della crisi non ritenendo che la crisi fosse così profonda e lunga. Dunque la scarsa qualità del credito ha ridotto o margini e redditività.

È stato anche sottolineato che rispetto a Spagna e Grecia, dove gli istituti hanno ricevuto consistenti aiuti di Stato non contemplati nell’analisi di Francoforte, l’Italia sia stata maltrattata. Che ne pensa?

Penso che aspettare i risultati per contestare la metodologia dello stress test sia miopie; tutte le Autorità politiche e di vigilanza hanno avuto mesi di di tempo per poter contestare e discutere i modi in cui si stava procedendo. Problema diverso è il modo di far banca, dall’applicazione di quei criteri. Certo applicarli è stato un primo passo falso che però nasce da lontano e precisamente da Basilea 3.

Basilea 3 ha cambiato il mondo, in che modo?

L’Europa si è appiattita su modello di banca sancito dalla riforma di Basilea3: la banca universale che io chiamo 2.0. In buona sostanza l’idea è che la banca deve continuare a poter fare ciò che vuole, purché abbia la necessaria quantità di capitale. Il problema di questo modello di banca è che si tratta di quello che ha portato alla grande crisi finanziaria. Oggi, a sette anni dallo scoppio della Grande Crisi, direi che i regolatori mondiali non hanno saputo, o voluto, capire la lezione.

Il Financial stability board ha annunciato che alle 15 banche di sistema sarà richiesto di aumentare ancora i requisiti di capitale. La strada è decisamente segnata ed è proprio quella che ha descritto lei, o no?

Si insiste su una regolamentazione che si basa principalmente sui capitali calcolati ponderando il rischio ove spesso la ponderazione viene fatta autonomamente dalle banche. Accade che le banche più grandi che hanno modelli di valutazioni sofisticati risparmiano tanto capitale, e così pur essendo molto indebitate, avendo cioè poco capitale in termini assoluti, come le tedesche, le francesi, le olandesi e le svizzere, risultino vincenti quando si pondera il capitale per il rischio.

Lei che cosa propone allora?

Va guardato quanto pesa il credito tradizionale rispetto ai servizi finanziari ad alto rischio. La regolamentazione dovrebbe essere un mix tra regolamentazione strutturale, che vieta alle banche certe attività finanziarie troppe rischiose, e di vigilanza prudenziale che dia peso a valori assoluti del capitale e meno peso a ponderazioni soggettive delle singole banche.

Mentre proseguendo sulla strada tracciata da Basilea cosa accadrà?

La crisi è nata per un eccesso di finanza e una delle indicazioni era che bisognava ridurre la finanza e il debito: questo non è avvenuto. Il totale delle attività finanziarie vale cinque volte il Pil mondiale, il debito è oltre due volte il Pil mondiale. Numeri che indicano che il debito continua a crescere: fatto che comporta vantaggi micro  in termini di maggiori possibili di scelta per imprese e famiglie. Ma a livello macro il rischio è di nuove crisi.

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