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Come cambia il lavoro ai tempi di Amazon. Parola di ex top manager Fiat

Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo il commento di Riccardo Ruggeri uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi

Il lavoro degli operai si è fatto “moderno”, i sindacalisti non avendolo capito fanno “scioperi antichi”, i politici, culturalmente idioti, si agitano senza alcun senso.

Alcune settimane fa, da Nicola Porro (Virus), Giorgio Airaudo ha ricordato che suo padre, operaio Fiat, riuscì a mantenere la famiglia, comprarsi l’abitazione, avere un auto, mandare all’Università entrambi i figli, avere una giusta pensione. Io ricordai che negli anni ’30 e ’40 l’operaio Fiat era pagato il doppio di un impiegato pubblico. Fiat fu per molti anni un modello di business e socioeconomico vincente: aveva l’obiettivo, non so se conscio o inconscio, di trasformare, come poi in parte avvenne, la classe operaia nella classe media.

Molti degli iimprenditori di prima generazione del mondo dell’automotive, e non solo, erano e sono ex operai Fiat. Eppure era un modello paternalistico, basato sulla «scarsità» dei singoli e sulla «crescita collettiva», purché meritocratica.

Uno dei modelli oggi vincenti, ormai consolidato da anni di successi, è quello di Amazon. Ha realizzato il sogno nascosto di ogni imprenditore (quindi anche il mio): distruggere i concorrenti. Come? Riducendo all’osso i suoi profitti (1%), e quindi quelli di ogni singolo prodotto, costringendo tutti i suoi fornitori ad adottare pure loro il suo modello, con l’obiettivo (finale) di creare un monopolio (legittimo). Ha costruito una «vetrina digitale» dove qualsiasi prodotto di massa può essere comprato in qualsiasi momento, da qualsiasi luogo del pianeta: un numero (carta di credito) e un clic (manuale), ed è fatta.

Gli uomini chiave di questo modello sono due. Il capo delle finanza, che deve ottimizzare conto economico e stato patrimoniale in tutti i loro «risvolti», tra i quali in particolare nel pagamento delle tasse, giocando sulle differenze fiscali dei diversi Paesi, e convincere gli azionisti a non ricevere dividendi in cambio di una crescita costante del valore del titolo in borsa.

Il capo del personale, che deve implementare una politica feroce per: a) promuovere un turnover forsennato (come avviene per i cavalli nel gioco del polo, distrutti dopo un solo tempo); b) stipendi bassi, che mai si discostino dalla soglia di sopravvivenza (negli Stati Uniti oggi sono 23.850 $/anno); c) nessuna forma di benefit. E poi, sublime, i lavori sono scientificamente concepiti per essere svolti da idioti, secondo il principio che è meglio un neo assunto inesperto, ma motivato dal bisogno, di uno esperto che potrebbe essere annoiato dalla routine.

In questo modello, l’aspetto culturale è irrilevante, in quanto l’eccesso di competenze potrebbe incidere addirittura in modo negativo sul processo (ha preso piede pure nella scelta dei giovani politici nostrani).

È uscito da poco un libro, «Uncontainable» di Kip Tendell, colui che ha fondato «Container Store» (un microbo rispetto ad Amazon) con però un modello di business al contempo speculare e nemesi dello stesso. La filosofia si basa su un curioso assunto «un lavoratore ne vale tre», cioè ne assumi uno che però lavori per tre.

Ovviamente, costui, pur facendo il lavoro di tre, è pagato solo il doppio, ma deve sottostare a un controllo delle performance molto sofisticato, che poi origina tale retribuzione, intesa come sommatoria di stipendio base, continui aumenti/decrementi, incentivi, bonus, extra di vario tipo, tutti «variabili». Quando negli anni ’50 lavoravo in officina a Mirafiori, questo armamentario noi lo chiamavamo «cottimo», era «a tempo» o «a misura», «individuale» o «di squadra».

Mi metto nei panni di Giorgio Airaudo, un amico, quando terminata questa legislatura (immagino orrenda per lui, uomo di sinistra che ha dovuto sottostare a una curiosa governance: il capo della maggioranza e quello dell’opposizione si sono alleati (sic!), decidono tutto loro due, alcuni loro kapò mantengono l’ordine, i parlamentari devono solo premere dei pulsanti, se sbagliano vanno a casa), tornerà a fare il sindacalista, mestiere un tempo di ben altra nobiltà.

Nel frattempo il mondo è cambiato, cambiati ruoli e responsabilità dei lavoratori, dovrebbero essere cambiati anche i sindacalisti, i politici, e pure la ridicola «società civile», invece no, non l’hanno fatto. Non per cattiva volontà, ma perché non se ne sono accorti.

Questi nuovi modelli di business, che personalmente considero ancora intermedi e in via di progressiva trasformazione, ribaltano in pieno i sogni di noi targati anni ’70-’80-’90. Ricordi, caro Giorgio, Termoli? Era talmente automatizzata che il turno notturno si svolgeva al buio. Ghidella diceva, orgoglioso: «I robot non hanno bisogno della luce». Oggi, la filosofia di allora è stata ribaltata, i lavori intelligenti li fanno i robot, quelli idioti gli umani (anche se noi abbiamo ancora bisogno della luce, auguriamoci per poco).

È evidente che anche il lavoro del sindacalista dovrà trovare una sua nuova configurazione, ammesso che sia ancora utile, e se sì, almeno tollerato dalla società civile. Confesso che non ti invidio, né come attuale parlamentare di opposizione, né come futuro sindacalista del “mondo Amazon”.

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