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Jobs Act, la follia della cancellazione dei contratti a progetto

Il Jobs Act è legge, ma la partita vera è rinviata ai prossimi 6 mesi. Saranno i decreti attuativi che daranno forma e sostanza alla riforma del lavoro del Governo Renzi. Tra questi, uno di quelli più controversi è quello relativo al riordino delle tante forme contrattuali esistenti in cui si ipotizza la cancellazione del contratto a progetto dal nostro ordinamento. Una follia. Ecco perché.

Il mercato del lavoro è composto da due grandi famiglie: i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi. Secondo l’Istat i primi sono oltre 17 milioni e i secondi più di 5,5 milioni. Per ognuna di queste aree del lavoro esistono specifici contratti di lavoro e forme di regolazione dei rapporti professionali. Semplificando, per i lavoratori dipendenti c’è il contratto a tempo indeterminato, quello a tempo determinato, l’apprendistato e la somministrazione, per i lavoratori autonomi sostanzialmente il rapporto di lavoro è regolato con la Partita Iva, il contratto a progetto e altre forme contrattuali “minori”.  Dove nasce il problema?

In questi anni in molti casi sì è consolidata in una parte del mercato del lavoro un utilizzo illecito dei contratti tipici del lavoro autonomo per regolare di fatto rapporti di lavoro da dipendente, come ad esempio per le commesse dei negozi, per le cameriere ai piani degli hotel e cosi via. Sì è creata una “terra di mezzo”, per certi aspetti simile, a quella tanto in voga nelle cronache di questi giorni. Il problema, quindi, non è il contratto in sé, assolutamente legittimo nei rapporti veri di lavoro autonomo, ma un suo uso fraudolento da parte di alcune aziende. Perché lo fanno è una questione comunque da approfondire.

Cosa pensa di fare il Governo Renzi per eliminare l’abuso? Eliminare questo contratto dal nostro ordinamento per tutti e non solo per la “terra di mezzo”. E’ illogico pensare di eliminare il problema eliminando anche la parte sana. Mi viene in mente il noto adagio che dice: “L’operazione è perfettamente riuscita, il paziente è morto”. Se portassimo alle estreme conseguenze la logica che c’è dietro l’abolizione dei contratti a progetto allora dovremmo abolire anche le partite Iva, altro ambito foriero di abusi. Perchè i primi sì e i secondi no? Sì può, anzi, si deve specificare meglio e in modo ancora più circoscritto la possibilità di ricorrere ai contratti tipici del lavoro autonomo, ma non si può pensare di eliminarli.

Le obiezioni sono tante, ma voglio soffermarmi su una in particolare per dimostrare l’iniquità del provvedimento. L’abuso e l’utilizzo illegale di questi contratti è strettamente correlato alla mancanza di controlli e sanzioni certe. Coloro che ricorrono a questo “escamotage contrattuale” lo fanno contando su una sorta d’impunità garantita. Sanno che la faranno franca.  Se gli togliamo la possibilità di utilizzare questo contratto, quelli che agiscono nell’illegalità troveranno altre forme di abuso perché comunque sanno che non verranno controllati.

Qui è tutta la questione. I controlli. Se non si potenziano davvero le attività ispettive del lavoro sarà impossibile arginare gli abusi e qualsiasi intervento di “maquillage legislativo” sarebbe inutile. Provate a pensare cosa succederebbe se sugli autobus pubblici di una grande città non passassero periodicamente i controllori? Ci trasformeremo in un popolo di “portoghesi”. Il concetto è identico anche per il mondo del lavoro. La domanda è una sola. Si vuole davvero combattere gli abusi e la precarietà? Allora il terreno d’iniziativa è quello dei controlli. Tutto il resto è aria fritta.

Nel caso specifico del provvedimento di cancellazione dei contratti a progetto, in assenza di un’adeguata rivisitazione delle ispezioni del lavoro, non solo non si otterrebbe nessun risultato nella lotta agli abusi, ma si creerebbe un danno enorme ai veri lavoratori autonomi, milioni di persone, ai quali non conviene aprire una partita Iva per mille ragioni. In più, si metterebbero in ginocchio anche interi settori produttivi come quello delle ricerche di mercato che contano 20 mila collaboratori legittimi e che hanno un’organizzazione del lavoro che può essere regolata solo da forme contrattuali simili. Un settore, tra l’altro, che ha regolamentato attraverso un contratto nazionale sottoscritto da tutti i sindacati, compresa la CGIL, le attività lavorative dei collaboratori in modo esemplare.

La prima fase del Jobs Act non ha previsto l’ascolto. La speranza è che la seconda fase, quella decisiva, si apra alla complessità del mondo del lavoro e ne tragga ispirazione, per il bene di tutti.

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