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Come cambiano i rapporti tra Cina e Vaticano

Sono molti i segnali di un rinnovato dialogo tra Santa Sede e Cina. Prima di tutto l’interesse di Papa Francesco per l’Asia, testimoniato da numerose affermazioni del pontefice sull’importanza del continente e dai suoi viaggi in Corea del Sud, Sri Lanka e Filippine (il cui primate, cardinale Tagle, è di madre cinese).

Poi c’è il permesso concesso da Pechino al sorvolo del territorio cinese da parte dell’aereo papale sia all’andata sia al ritorno da Seul (con relativi telegrammi del Papa per invocare pace e benessere per il Paese).

Né va dimenticata la frase di Bergoglio ai giornalisti (“Se andrei in Cina? Ma sicuro, domani!”) a seguito di uno scambio di messaggi con il presidente cinese Xi Jinping subito dopo il conclave.

A tutto questo si somma la decisione, in occasione della Via Crucis al Colosseo del 2013, di far portare la croce a due seminaristi provenienti dalla Cina.

E infine c’è la costante attenzione verso la Cina da parte del segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, il quale, quando era viceministro degli esteri vaticano durante il pontificato di Benedetto XVI, guidò trattative riservate con Pechino.

Tutto risolto, dunque, tra Cina e Vaticano? Certamente no, perché i nodi sono tutti lì, ancora intricati. E si possono riassumere in due parole: vescovi e Chiesa. Ovvero: chi sceglie i vescovi in Cina? E da chi dipende la Chiesa cattolica cinese?

VESCOVI E CHIESA IN CINA

Attualmente i vescovi li sceglie il governo, attraverso l’Ufficio affari religiosi che è come dire il Partito comunista cinese. Da questo punto di vista, nulla in sostanza è cambiato rispetto ai tempi di Mao Tse-tung.

E qui veniamo al problema della Chiesa cattolica cinese che il governo vuole mantenere indipendente dal Vaticano, una Chiesa “patriottica” fedele più a Pechino che a Roma.

Da parte del governo cinese c’è stata qualche timida apertura sui vescovi. Pechino sembra ora disponibile a concedere al Vaticano una voce in capitolo nella scelta dei vescovi. È però irremovibile sul ruolo dell’Associazione patriottica, l’organismo che di fatto controlla ogni attività della Chiesa rispondendo direttamente al Partito comunista.

Insomma, se in Cina un cattolico vuole essere davvero fedele al Papa, deve scendere, metaforicamente ma non tanto, nelle catacombe, e far parte della Chiesa detta sotterranea o clandestina.

A questo punto, quali margini di manovra ci sono? Sulla scelta dei vescovi, la Santa Sede è disponibile a trovare una formula che tenga conto delle esigenze di Pechino, a patto di avere l’ultima parola.

Nel 2007 Benedetto XVI lo disse chiaramente nella sua lettera ai cattolici cinesi: se l’ultima parola non spetta alla Santa Sede, il diritto alla libertà religiosa è una finzione. Da questo orecchio Pechino, però, non sembra sentirci.

Aldo Maria Valli è vaticanista di Rai1.

Clicca qui per leggere l’analisi completa sul sito di AffarInternazionali

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