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Eni, cosa pensa Descalzi di Libia, Usa, Russia e Iran

La situazione geopolitica e di sicurezza in Libia, Stati Uniti, Russia e Iran preoccupa il vertice dell’Eni. Le prospettive sono promettenti, con piattaforme per la produzione di idrocarburi presenti in più di 40 paesi, tra l’Africa Settentrionale, l’Africa Occidentale, il Mare del Nord, il Medio Oriente e l’Asia Centrale, il Nord America e in aree ad alto potenziale quali l’Angola, l’Africa occidentale, il Venezuela, l’Iraq, il Mare di Barents e l’Area del Pacifico. Nonostante i conflitti in molte di queste regioni, la società italiana prevede un aumento della produzione di circa il 3,5%, con una riduzione dei costi di 2 miliardi di euro.

L’INCUBO DELLA LIBIA

Uno dei dossier monitorati dall’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, è la Libia. Presente nel Paese da oltre 50 anni, l’azienda non ha intenzioni di andare via, ma è consapevole dei rischi: “Ci preoccupiamo tutti i giorni, ogni secondo, di quella che sta accadendo in Libia”, ha detto. In un’intervista concessa al Financial Times, il capo azienda dell’Eni ha assicurato che il primo pensiero riguarda la sicurezza del personale. E dopo, quella degli asset. L’Eni è una delle poche aziende energetica che è rimasta operativa in Libia dopo gli ultimi fatti di violenza e instabilità. Descalzi è convinto che c’è bisogno di uno sforzo ulteriore da parte della comunità internazionale per raggiungere un accordo di pace in Libia.

QUESTIONE DI SICUREZZA

Il quotidiano americano Wall Street Journal di recente ha pubblicato un articolo sugli impegni dell’Eni in Libia, sostenendo che l’impresa è in grado di mantenere un ruolo predominante nel Paese grazie alla protezione di diverse milizie e tribù. In Libia l’Eni produce circa 300mila barili di olio. Secondo il Wsj, all’ovest della Libia l’Eni ha un gasdotto che trasporta il 10% del gas naturale che si consuma in Italia, e pur essendo vicino a un campo di addestramento jihadista, è protetto dalla milizia islamista “Alba della Libia”, ha insinuato il Wall Street Journal, rilanciando umori delle compagnie anglossasoni, come già rimarcato da Formiche.net sottolineando i bizzarri rilievi del quotidiano del gruppo Murdoch. Una condizione di sicurezza della quale non godono altre compagnie come Repsol (Spagna) o Marathon Oil (Stati Uniti), costrette ad andare via dal territorio libico.

BISOGNO DI STABILITÀ

Al Financial Times Descalzi ha anche parlato della situazione in Russia, non meno problematica: “Abbiamo bisogno di stabilità per la nostra industria, e la stabilità significa avere un orientamento… Abbiamo bisogno di cooperazione tra tutti i produttori per stabilizzare il mercato”. Crede che sia arrivato il momento di abolire le sanzioni contro la Russia questo anno: “Spero che la situazione nell’area possa consentire all’Europa e agli Stati Uniti di alleggerire le sanzioni, vorrebbe dire non avere guerra, non avere combattimenti”.

ALLEANZE CON L’OPEC

Secondo Milano Finanza, l’ad di Eni non è esplicito nel suggerimento di una cooperazione formale sulla produzione tra l’Opec e gli altri Paesi produttori nell’intervista con il Financial Times. Ma – scrive la giornalista di Mf, Angela Zoppo – ha espresso la sua convinzione sulla necessità di incoraggiare gli investimenti da parte dell’industria. Per riuscirci, Descalzi ha detto che c’è “bisogno di stabilità e la stabilità significa avere un orientamento. Abbiamo bisogno di cooperazione tra tutti i produttori per stabilizzare il mercato”. L’appello è rivolto agli Stati Uniti, Russia e gli altri membri dell’Opec, tra cui principalmente l’Arabia saudita. 

NUOVI INVESTIMENTI?

Mentre da una parte c’è la riduzione delle spese, dall’altra ci si rassicura su nuovi investimenti. Per Descalzi una “finestra di opportunità” si apre nell’acquisto di Shell su BG perché gli asset produttivi di shale negli Usa e nel Golfo del Messico sono più probabili rispetto a quanto lo siano le compagnie europee, ma Eni è già apposto dopo le scoperte nell’Africa sub-sahariana: sono pianificati 8 miliardi di euro di dismissioni.

L’ASSE CON L’IRAN

Descalzi aspetta una ripresa del prezzo del petrolio che potrebbe riequilibrarsi nel 2016 su 70 dollari al barile. Tutto dovuto alla diminuzione della produzione americana di shail oil, la stabilità degli indici di domanda e la riduzione dei costi sui progetti. Sul fronte iraniano, è stato determinante l’incontro con il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zanganeh, e resta dell’idea che per ripartire in Iran è imperativa la fine della sanzioni e l’offerta di Teheran dei Production Sharing Contracts.

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