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Enciclica ambiente, perché l’approccio della Chiesa è antropocentrico

Quarantacinque anni fa, quando ho affrontato per la prima volta il tema dello sviluppo sociale, ho riflettuto sul pontificato di san Giovanni XIII e poi su quello di Beato Paolo VI. Per entrambi tale sviluppo rappresentava uno dei motori della pace globale. Oggi, l’attenzione è stata allargata ad altri elementi, arrivando a includere anche il progresso economico. Diventa così importante riflettere su quegli elementi che compongono “l’ecologia umana”: il rispetto della dignità dell’uomo e la cura dell’ambiente. Principi che dovrebbero rappresentare la norma nello sviluppo globale dell’economia e del mondo degli affari. Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2010, papa emerito Benedetto XVI osservò che il disegno sapiente del cosmo esce dalla mente di Dio e trova il suo culmine nell’uomo e nella donna, fatti a immagine e somiglianza del Creatore per popolare la Terra e avere il dominio su di essa come amministratori di Dio stesso (Genesi 1:28).

Il papa emerito sottolineò che attribuire all’uomo l’amministrazione del creato non fu un semplice conferimento di autorità, bensì un appello alla responsabilità, affinché ci si prendesse cura della Terra in quanto dono del Creatore. Purtroppo però questa autorità è diventata un mezzo di sfruttamento e di dominio assoluto. Come ha osservato san Giovanni Paolo II nell’Enciclica Centesimus annus, nel suo desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, l’uomo consuma le risorse della Terra e la sua stessa vita in maniera eccessiva e disordinata. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo avviene sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.

Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della Terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma e una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire (Centesimus annus, n. 37). Oggi, avvicinarci all’ambiente con maggiore saggezza è particolarmente urgente, mettendo in evidenza la coerenza e la compatibilità di affrontare il cambiamento climatico globale con la necessità di una crescita economica, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Mentre la famiglia degli uomini cerca di ricalibrare la sua relazione con l’ambiente, la Chiesa ha un ruolo importante da svolgere. Bisogna ammettere che il suo compito non è quello di giudicare questioni scientifiche, molte delle quali rimangono tuttora senza una risposta definitiva, tra cui l’analisi della natura e la portata dell’impatto delle attività umane rispetto ai cambiamenti climatici.

Piuttosto, come accade negli ambiti economici e politici in cui devono essere prese decisioni complesse e delicate, il ruolo della Chiesa consiste nel proporre i parametri morali in base ai quali giudicare ogni soluzione equa ed efficace individuata. Tra questi parametri emergono tre principi che meritano una particolare menzione. Il primo principio è quello della dignità dell’uomo, il cui intrinseco valore e destino immortale cela la motivazione stessa che dovrebbe spingere all’azione ambientale; con esso si cerca di preservare la corretta relazione tra l’uomo e l’ambiente. Il secondo principio enfatizza l’imperativo morale di proteggere l’ordine naturale. Mentre esiste sicuramente una bontà oggettiva nell’ordine naturale, in quanto dono ricevuto da Dio, l’attenzione della Chiesa per l’ambiente è decisamente antropocentrica; non proteggiamo l’ordine morale seguendo un romantico sentimentalismo, ma come un imperativo morale nei confronti del Signore della creazione e nei confronti degli esseri umani, sia della nostra generazione sia di quelle future. La Chiesa è esperta in umanità e il suo bene rimane centrale negli insegnamenti sull’ambiente.

Il terzo principio è, in un certo senso, la conseguenza immediata dei due precedenti: la protezione dell’ambiente non deve compromettere il legittimo progresso economico. Allo stesso modo dobbiamo riconoscere che, come papa emerito Benedetto xvi ha fatto con la sua Enciclica Caritas in veritate, abbiamo il dovere di consegnare la Terra alle generazioni future in condizioni tali che anche loro possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla. Le molte conseguenze del cambiamento climatico, la diminuzione delle terre coltivabili derivanti dalle cattive pratiche agricole e l’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua, contribuiscono a far aumentare le disuguaglianze in termini di ricchezza, le tensioni politiche e l’instabilità economica. Vi è una crescente sintonia tra l’impegno a favore dell’ambiente e quello che promuove lo sviluppo umano, anche economico. L’attenzione che papa Francesco ha verso un maggiore rispetto per l’ambiente e verso lo sviluppo sostenibile è in diretta continuità con gli insegnamenti dei suoi predecessori, in particolare san Giovanni Paolo II e papa emerito Benedetto XVI.

Papa Francesco conduce la Chiesa affinché essa vigili sui segni del nostro tempo, per una nuova consapevolezza della necessità di una solidarietà più profonda a favore dell’ambiente, affinché la famiglia umana possa crescere, o forse addirittura sopravvivere. Ci ricorda così anche la bellezza del creato e la nostra dignità in quanto suoi amministratori, incaricati dal Creatore di nutrire e proteggere la Terra per il bene di tutta la famiglia umana e per le generazioni a venire.

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