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Che cosa penso delle dimissioni di Zingales dal cda Eni

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Le dimissioni di Luigi Zingales dal cda dell’Eni segnano un passaggio importante per il renzismo di governo. Come tutti gli intellettuali di qualità Zingales non piace a tutti. Molti, ora, festeggeranno le sue dimissioni per «non rinconciliabili divergenze» dal board della più importante società italiana per capitalizzazione di borsa. Chiunque la pensasse così sbaglierebbe.

Zingales non è soltanto uno dei volti italiani famosi nel mondo dell’economia, ma è anche il professore che nel 2011 strappò applausi alla prima Leopolda di Renzi invocando più meritocrazia per far crescere il pil italiano. È uno studioso di caratura internazionale della corporate governance, cioè dei meccanismi ottimali per la gestione delle grandi imprese. Modelli e teorie nell’interesse di tutti gli stakeholder non per favorire pochi o solo alcuni. A modo suo Zingales è anche un brand perché, essendo entrato tra i cento nomi indicati dalla rivista Foreign Affairs come i più influenti pensatori del pianeta, quello che scrive o divulga è letto e analizzato ben oltre le Alpi.

Non è un accademico de’ noantri, per essere più precisi, tutto concentrato nella marcatura del chilometro quadrato che separa Palazzo Chigi dal ministero dell’Economia. Zingales può tranquillamente vivere bene senza i 100 mila euro del compenso annuo riservato ai consiglieri Eni, a differenza di molte delle nomine nei consigli di amministrazione a partecipazione pubblica fatte nella stagione renziana.

Le dimissioni sono soprattutto un addio alla Leopolda e alle aspettative positive che l’ascesa al governo di Renzi aveva suscitato. Zingales, come molti del resto, ha preso le misure alle slide e ai tweet del premier e ha tratto le sue conclusioni. Un Paese, come l’Italia, che deve provare, per far quadrare i conti, a vendere sul mercato alcune aziende importanti, già nel corso dell’anno, non ne esce rafforzata, perché gli investitori che possiedono il 70% o quote importanti di imprese privatizzate non hanno alcuna voglia di subire passivamente le scelte unilaterali dell’azionista pubblico.

Se nei primi 18 mesi di governo Renzi ha preso forma una sorta di Leopolda delle partecipazioni statali, molto meno chiare sono le strategie complessive del governo. Personalmente nulla ho capito delle ragioni industriali che hanno spinto il ricambio ai vertici della Cassa Depositi e Prestiti, con persone peraltro di qualità, e credo che anche gli investitori internazionali siano in una situazione analoga. Quello che si registra è che gli italiani indipendenti, stimati nel mondo e con diverse idee innovative scelgono di stare lontani dalla cosa pubblica e dal governo.

Una Leopolda delle partecipazioni statali, dove si parla quasi solo con cadenza fiorentina, è davvero l’ultima delle riforme che servono all’Italia oggi.

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