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Ognuno potrebbe

Se Renzi non combatte la ricchezza, ma la povertà, Michele Serra, da sempre, combatte i poveri. Dove i poveri sono, in un’accezione più ampia, gli sprovveduti. I disarmati. Gli anelli inconsapevoli della catena del consumo cui questo ruolo è dato in modo precario con l’aggravante di dover svolgere lavori di bassa utilità. Evanescenti tanto nel dare quanto nel ricevere.
È un trucco di bassa filologia quello dell’egofono e del selfie. Pippe mentali sono. Di un racconto “Ognuno potrebbe” – edito da Feltribnelli – che vola basso. Anzi, bassissimo.
Il narcisismo non c’entra. I protagonisti del libro di Serra sono coloro i quali non hanno gli strumenti per considerare i tanti oggetti tecnologici, che la società gli impone di acquistare, come strumenti e basta. Il meccanismo è sordido, subliminale. Ed è un cortocircuito. Il narcisismo è la leva per spingere chiunque a dotarsi di un apparato multimediale che lo fa sentire parte di una comunità che, da quel momento in poi, apparentemente gratuitamente, riceve e inoltra tutta la robaccia prodotta e autoprodotta in rete. Il modo, di serie B, per esserci. Per partecipare. Per sentirsi smart ed essere taggati. Tutte attività che non producono censo ma, solo, un monotono quanto vacuo traffico. Che fa la fortuna delle società di telecomunicazioni.
Se vai in Marocco, li trovi a cavallo dell’asino, o a piedi, anche di notte, che percorrono camionabili infinite ma tutti, proprio tutti, hanno il telefonino. Le tariffe delle telefoniche sono studiate perché tutti si possano permettere un telefono portatile.
Se vai in Arabia Saudita, per dire di un luogo dove certo non si può dire – non c’è più religione – sono tutti col telefonino. Perfino i pakistani e gli indiani che sono gli unici che lavorano. Gli arabi, quelli veri, sono tutti bramini a Ryiadh. E si dividono tra il Centro Commerciale e la Moschea.
Il libro di Serra è proprio un libro di corte vedute. Che fa dell’antropologia la scienza del proprio pianerottolo. Che fa della sociologia, lo sfogo sul gabinetto di uno à la page che da anni non prende un autobus urbano. Che pensa che le periferie siano delle astronavi. Territori in cui ricercatori spaziali hanno, da poco, trovato tracce di CO2.
Magari il protagonista vivesse a Capannonia. Il guaio vero è che le tante Capannonia d’Italia si sono svuotate come Detroit in America. Perché l’incapacità di governare le onde lunghe della storia, nella fattispecie della manifattura, ha reso l’Italia sempre più povera di una delle sue abilità migliori. La capacità di saper fare. Di saper costruire. Penso ai Ferrari, ai grandi Carrozzieri come Pininfarina. Penso a Maccaferri. A Montante. Penso al Nord Est, laborioso ed evasore. Pieno, appunto, di capannoni e rotonde.
Certo, piacerebbe a tutti avere la raffinatezza di un ebanista e vivere del proprio lavoro manuale ad altissimo valore aggiunto. Con i ricchi e raffinati gentiluomini di tutto il mondo che vengono fin dentro al nostro laboratorio per acquistare le nostre chiccherie. Il fatto è che è sempre più affare elitario quello delle piccole produzioni artigianali. L’estetica costa e non è un valore diffuso e sentito come prioritario. Il lavoro lo genera l’Ikea. I business, più grandi e globali, sono quelli che offrono il surrogato di ciò che ci piacerebbe.
Anche quanto a capacità manuale, per rimanere nei buoni propositi che Serra innesta dentro al libro, in cui l’autore, zelante e giudicante, interviene a ogni ritorno a capo, siamo tutti d’accordo anche se poi non capiamo come mai l’Inrim, l’istituto metrologico italiano, che è luogo dove con le mani si realizzano i campioni nazionali delle grandezze fisiche si becca da La Stampa un articolo che lo definisce un ente inutile riconducendo l’utilità dell’ognicosa nei parametri del fatturato e delle sigle buone per il renzienglish for dummies.
Michele Serra non è nuovo a questi cinici trattatelli monografici sui poveri. Sugli sprovveduti. Il suo è un gusto tutto classista di mettere alla berlina la povera gente affondando la sua parola, imbibita di grumi di livore, contro tutto ciò che di grottesco e di pittoresco si annida o fa da contorno alle più diffuse espressioni del consumismo di massa. Ricordo quando, tempo fa, scrisse un paginone su Repubblica umiliando chi aveva scelto come vacanza la Crociera. Dice Serra: – La crociera è un allestimento scenico per poveri che almeno dieci giorni all’ anno vogliono sentirsi ricchi – .
Col senno di poi, anche quel paginone si svela nel suo anacronismo. Visto che solo ieri, appunto, con l’inginocchiarsi della Costa sul Giglio, anche questo comparto industriale che portava piccioli e lavoro al nostro paese ha conosciuto il suo periodo peggiore. E avrebbe fatto volentieri a meno di questi elzeviri che per far ridere pochi, fanno piangere tanti.

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