Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Ecco la strategia della Cia in Siria

Dal primo settembre di questo anno la Cia e il Joint Special Operations Command (JSOC) hanno lanciato in Siria una nuova campagna di “target killing” utilizzando droni armati. Va precisato che il programma è destinato esclusivamente ad “individui di alto valore”, in concreto soggetti che hanno posizioni elevate nella gerarchia militare dell’Isis. Per i foot soldier e gli altri obiettivi intervengono, come fanno da tempo, altre armi. Insomma abbiamo una riproposizione delle “eliminazioni mirate” di cui si è fatto largo uso in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia per indebolire la catena di comando di alcune organizzazioni terroristiche con l’intento di portarle al collasso.

In alcuni di questi teatri il risultato è stato raggiunto, in toto o in parte, ma la Siria presenta molte complicazioni e vedremo il perché. Sul piano organizzativo l’integrazione fra il Counterterrorism Center (o CTC, una divisione della Cia all’interno della Direzione per le operazioni clandestine) e il JSOC nasce da una riforma voluta dall’attuale numero uno della Cia John Brennan, per eliminare le sfasature fra chi analizza dati e chi effettua operazioni sul terreno. La catena del target killing ha tre distinte fasi (3F, ovvero Find, Fix, Finish) e la riforma Brennan prevede che al CTC spetti il “find & fix” (trova ed insegui) ma che spetti al solo JSOC la terza F, ovvero il “finish” (l’eliminazione vera e propria).

Alcune organizzazioni per i diritti civili hanno fatto circolare in rete un rapporto classificato sull’attività di target killing, redatto dall’ Intelligence, Surveillance, and Reconnaissance Task Force del Pentagono dal titolo “ISR support for small footprint CT operation”. Il documento è un’analisi delle attività passate ed è dedicato alle operazioni in Somalia e in Yemen, ma sostiene che le conclusioni a cui è arrivato il gruppo di studio del Pentagono si possono applicare in qualsiasi contesto. Il documento conferma che c’è una forte differenza di efficacia nell’uso dei droni in teatri in cui sono presenti forze americane rispetto a Paesi che vengono definiti ODTAAC (Outside a Definied Theater of Active Armed Conflict) dove i risultati sono molto più modesti. Questo spiega perché in Afghanistan e in Iraq – quando erano presenti truppe americane – per avere un dossier completo su un terrorista di un certo rango (le cosiddette carte da baseball che sono delle schede personali da sottoporre all’approvazione del Presidente per il target killing) il 57% delle informazioni raccolte proveniva dallo spionaggio elettronico (NSA) mentre il restante da fonti della Cia sul terreno (Humint).

Sempre in Iraq la percentuale di localizzazione di un individuo di alto valore era molto vicina al 90%, all’80% la tracciatura di un telefono e la rilevazione dell’impronta vocale dell’individuo sotto controllo e intorno all’80% la raccolta di dati anagrafici completi. In questo caso si raggiungevano molto rapidamente le tre F, e il finish poteva essere autorizzato addirittura in pochi giorni. Sappiamo anche che circa due terzi della fase Fix erano raggiunti con materiale video o immagini in alta definizione catturate dai droni e che tale materiale consentiva di avere la “quasi certezza” nell’identificazione per soddisfare una delle norme richieste dal presidente Obama per autorizzare un attacco letale.

Al momento la Siria è fra i Paesi ODTAAC per cui è fatale che le informazioni raccolte siano teoricamente limitate e che i processi di autorizzazione per il target killing siano più problematici per mancanza di conferme inequivocabili. Tra le raccomandazioni di questo rapporto si cita infatti la necessità di avere una copertura di sorveglianza dei droni per un certo numero di “orbite” (un’orbita corrisponde a una sorveglianza di 24 ore al giorno per una settimana) visto che determina la percentuale di successo.

Il ragionamento vale per i droni armati ma anche per gli interventi delle forze speciali. Gli insuccessi per mancato compimento delle tre F sono dovuti a ragioni operative: ad esempio la transizione dal Find al Fix (quando un individuo viene localizzato e viene tracciato) si è interrotta per cui del soggetto si è perso traccia. In molti casi non si è passati dal Fix al Finish perché non c’erano elementi sufficienti per confermare l’identità dell’individuo. Il rapporto stressa molto il concetto che la vicinanza di una base operativa rispetto a un ipotetico “bersaglio” è ovviamente fondamentale: in Iraq l’80% delle operazioni di Finish – e delle F che la precedono – sono state effettuate a una distanza media di 150 km, ma all’epoca i droni decollavano da Balad, una base nel triangolo sunnita (oggi si ritiene che la Cia abbia ottenuto il permesso di utilizzare la pista di Erbil nel Kurdistan iracheno).

Per le località più lontane il tempo di volo necessario per arrivare nella zona di sorveglianza assegnata ha rappresentato in molti casi il 50% dell’autonomia del mezzo: questo significa che è difficile assicurare una copertura continua dell’area di interesse e quindi al Find non segue il Fix – generando un “blinking”, cioè localizzi il bersaglio ma poi lo perdi – con il rischio che non ci siano i dati sufficienti per arrivare alla fase finale. Le statistiche dell’ISR confermano questo problema: in Yemen il numero medio di orbite è stato di 2,8 rispetto alle 6 richieste per arrivare alla terza F (42 giorni di sorveglianza continua), in Somalia addirittura 0,9 rispetto alle 3 necessarie (21 giorni). Per arrivare in Siria se i droni decollassero dalla base turca di Incirlik la distanza dall’eventuale bersaglio sarebbe modesta (circa 300 km), da Erbil sono 580 mentre dalle altre basi americane nel Golfo le distanze sarebbero più problematiche: quelle in Kuwait e Arabia Saudita distano circa 1.000 km, quella in Qatar (il comando generale del JSOC è nella base di al Udeid) addirittura 1.500.

Una portaerei nel Golfo Persico è a circa 1.200 km di distanza dalla provincia di Raqqa. Quindi il rapporto raccomanda l’intensificazione delle piattaforme di sorveglianza, consigliando il ricorso anche a mezzi navali. Il caso Iraq conferma che la presenza di truppe sul terreno consente la raccolta di un gran flusso di informazioni di “innesco” facilitando il lavoro della NSA e di fonti qualificate sul terreno. In mancanza di queste condizioni, e per la Siria è così, il rapporto consiglia di aumentare le operazioni di cattura “ma le aspettative vanno calibrate sulle realtà rappresentate da zone non attive di conflitto”. Insomma il compito del CTC e del JSOC non si presenta facile.

×

Iscriviti alla newsletter