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Perché Hollande e Sarkozy non vincono più con le guerre

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Pierluigi Magnaschi uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto 

Science ha calcolato che oggi bastano 11 ore per raddoppiare le conoscenze nel mondo. Invece all’inizio del secolo passato, per ottenere lo stesso risultato, ci volevano trent’anni. La politica (e soprattutto i commenti sulla politica) continua invece a camminare molto adagio, restando così quasi sempre ingabbiata nel precedente, come è solita fare, da sempre, la più ottusa burocrazia. Che questa constatazione sia vera, lo si vede, ad esempio, in molte analisi ai risultati del primo turno delle elezioni regionali in Francia.

In tv, per commentare il fatto che il Front National è diventato il primo partito in Francia, si è detto che la Francia è stata “investita dall’onda nera” senza tener conto che Marine Le Pen, per rompere con la precedente politica di estrema destra del padre Jean Marie, prima lo aveva estromesso da tutte le cariche nel partito e poi, di fronte alla sua rabbiosa resistenza, l’aveva addirittura espulso definitivamente dal partito stesso.

Così non è più esatto dire (come hanno scritto diversi quotidiani) che il Front National (Fn) sia un partito di “estrema destra”. Oggi, sociologicamente, è diventato un partito di destra, dato che i repubblicani di Nicolas Sarkozy rappresentano da tempo e indubitabilmente (nei fatti, anche se non nelle parole) il centro, che, tra l’altro, è ancora in cerca di una sua stella cometa. Non a caso questo partito ha recentemente cambiato nome. L’Fn di oggi non è nemmeno, per vari motivi, un partito paragonabile alla Lega di Salvini (come il segretario di questo partito vorrebbe far capire) ma è il risultato di una somma di motivazioni politiche che, in Italia, si trovano congiuntamente rappresentate in Italia, nella Lega e nel M5S e anche nella galassia indistinta del non voto.

È sintomatico inoltre constatare che l’Fn si sia affermato a man bassa nella Regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra (dove peraltro il centrodestra a matrice gollista e poi chirachiana è sempre stato egemone) con un 42% contro il 25 dei repubblicani e il 16 dei socialisti. L’Fn si è affermato anche nella Regione Nord-Pas-de-Calais che, da sempre, invece, era un feudo della sinistra anche perché è un’area di forte e storica (anche se ora depressa) industrializzazione. In questa regione (che per storia politica assomiglia all’Emilia-Romagna) l’Fn ha preso il 41%, i repubblicani il 25 e i socialisti il 18. L’Fn inoltre risulta anche essere il partito più votato, in tutta la Francia, dai giovani fra i 18 e i 24 anni.

Hanno votato Fn non soltanto i nemici dell’integrazione europea (e, segnatamente, contro i trattati di Schengen e di Maastricht) e che sono anche, o in più, contro l’immigrazione, specie musulmana, ma anche gli operai che hanno perso il posto di lavoro a causa della crisi e i molti lavoratori che non si sentono più rappresentati dalla sinistra sempre più radical chic di Francois Hollande che è una sinistra a tal punto frou frou e parigino-centrica da consentire al presidente della repubblica di rivolgersi pubblicamente ai poveri chiamandoli “sdentati”.

Il fatto vero è che in Francia socialisti e repubblicani, avendo perso gran parte della loro credibilità, non riescono a formulare delle proposte politiche rassicuranti. Di solito, in queste occasioni, in Francia, il presidente della repubblica quando è in caduta libera sulla scala dei consensi, tende a usare il tasto della grandeur per tentare di mobilitare l’opinione pubblica attorno alla sua persona, usando un tema (la grandeur, appunto) che ha sempre suscitato consenso in Francia ma che adesso non funziona più.

E la grandeur la si accende facendo una guerra, possibilmente facile da vincere. E in ogni caso dichiarata in prima persona, e battendo sul tempo tutti i suoi alleati, ma poi attuata solo con l’aiuto e il concorso delle grandi potenze senza le quali (come ha dimostrato recentemente nel Mali) la Francia non sarebbe in grado di battere nessuno.

Il metodo fu usato da Sarkozy (con l’attacco alla Libia del 2011) e stava per essere adottato anche da Hollande quando annunciò di voler attaccare Assad in Siria (con il paradossale effetto di favorire la presa di potere da parte dell’Isis). Questo proposito francese fu sospeso solo perché Putin avvisò Parigi che, se avesse osato far entrare i suoi caccia nello spazio aereo siriano, avrebbe dovuto vedersela con i jet militari russi.

Gli eccidi di Parigi hanno adesso consentito a Hollande di trovare una più credibile motivazione al suo desiderio bellico anche se, a pochi mesi del suo desiderio di attaccare la Siria per abbattere Assad, ha dovuto impegnarsi con Mosca a non prendere alcuna iniziativa che possa indebolire il regime di Assad. Cioè l’attuale motivazione è l’esatto opposto della politica che Hollande voleva realizzare con gli strike di qualche mese fa.

Ma la guerra, anche se sveglia i sogni napoleonici di una parte dell’opinione pubblica francese, non è più in grado di invertire la spirale di impopolarità del partito al potere. Se ne rese perfettamente conto, a sue spese, Sarkozy che, dopo la guerra alla Libia, non riuscì a essere confermato presidente. E se ne renderà conto Hollande quando si ripresenterà per essere rieletto all’Eliseo.

Intanto, entrambi, in occasione di queste elezioni regionali possono constatare che la loro stella non brilla più e che non basta la grandeur per ridare fiducia a una Francia spossata dalla crisi, indisponibile alle riforme e pateticamente alla ricerca di un ruolo di grande potenza che non gli appartiene più da quando fu occupata da Hitler (la resa francese fu del 14 giugno 1940) e poi vinse la Seconda guerra mondiale in via putativa, combattendo con i microfoni di Radio Londra.

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