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Come sciogliere il nodo del debito pubblico in Europa

Senza almeno parziali elementi di unione fiscale – cioè elementi di condivisione dei debiti pubblici e, attraverso questi, di condivisione dei rischi di shock idiosincratici sul rischio sovrano che colpiscano alcuni partecipanti all’Eurozona – l’unione monetaria e bancaria restano esposte al rischio di rottura. Le mie precedenti considerazioni hanno già messo in luce le difficoltà di procedere verso l’unione fiscale, e ancor prima verso l’unione bancaria completa, se non si riesce a ristabilire un clima di fiducia reciproca tra i partecipanti all’Eurozona, del quale l’elemento centrale resta la capacità di collocare su una traiettoria di 7 credibile riduzione i debiti pubblici eccessivi. Oggi in Europa questa questione è essenzialmente la questione della credibilità delle politiche di bilancio italiane. Nell’attesa che prima o poi tale condizione si realizzi, è possibile ragionare sulle funzioni essenziali di un assetto di unione fiscale.

Al riguardo, il Rapporto dei Cinque Presidenti ne identifica il compito nella stabilizzazione della domanda aggregata per l’intera area (Unione o Eurozona), rinviando a successivi approfondimenti la definizione dei meccanismi. Fissa però alcuni principi guida: non ne dovranno derivare trasferimenti permanenti tra i paesi, non dovranno essere indeboliti gli incentivi alla rettitudine fiscale nell’ambito del Patto di stabilità, e non dovrà essere uno strumento di gestione delle crisi (per le quali il Rapporto nota che già esiste l’ESM). Su quest’ultimo aspetto ritornerò tra un momento. Si può notare, nel frattempo, che la stabilizzazione aggregata non include un meccanismo specifico di sostegno della disoccupazione, come proposto dal governo italiano, ma che questo potrebbe comunque rientrarci se la natura degli interventi di stabilizzazione non lo precludesse.

Quel che non potrebbe mai rientrare in questo meccanismo è il sostegno alle politiche per combattere la disoccupazione o in generale di riforma strutturale; i sostegni europei in questo campo possono venire dai fondi strutturali, quando si verificano le condizioni per l’accesso. In ogni caso, la responsabilità per realizzare un sistema economico ben funzionante e di piena occupazione non può essere scaricata sull’Europa, essa appartiene alle politiche nazionali. Sul modo di costruire la funzione di stabilizzazione, un aspetto importante sul quale il Rapporto non dice nulla, riguarda le risorse con cui l’intervento anticiclico potrebbe svilupparsi. Su questo, un filo comune di molte proposte è che si dovrebbero ampliare le funzioni dell’ESM. Questo dovrebbe poter emettere ‘obbligazioni di stabilità’ (stability bonds), rendendone i proventi utilizzabili da parte dei paesi membri per gli interventi anticiclici, sotto sorveglianza comune, e vincolando i paesi membri a restituirli entro un termine prefissato (magari con meccanismi automatici di restituzione). Quanto al governo del meccanismo, si può ipotizzare che la sua attivazione sia decisa dall’Eurogruppo, a maggioranza, lasciandone poi la gestione all’ESM o, in prospettiva, che tutte le decisioni fiscali dell’Eurogruppo vengano affidate all’ESM (il cui direttore esecutivo potrebbe allora evolvere nella direzione spesso evocata del ministro delle finanze dell’Eurozona). Più complicata è la questione dell’utilizzo della capacità fiscale comune – di cui l’ESM già costituisce un embrione – per la gestione delle crisi.

Quel che abbiamo al momento, nell’ESM, è un meccanismo che consente di mobilizzare le risorse degli stati membri dell’Eurozona per assistere caso per caso lo stato membro che abbia difficoltà di accesso al mercato o debba affrontare esigenze eccezionali di sostegno delle proprie banche. 8 L’eventualità di una crisi di fiducia che investa uno o più stati membri, o i loro sistemi bancari, al momento è coperta dagli strumenti della BCE (il programma OMT e le sue linee di credito alle banche). Manca un meccanismo di back-stop fiscale comune per il Fondo di risoluzione delle crisi bancarie e per il meccanismo futuro di assicurazione dei depositi: in loro mancanza, il rischio di una fuga dei depositanti non può mai dirsi scongiurato. Inoltre, servirebbe una capacità fiscale per assorbire shock finanziari idiosincratici che colpiscano il debito sovrano di uno o più stati membri, o le loro banche, e che non derivino da politiche nazionali fuori linea rispetto al Patto di stabilità.

Nella prospettiva dell’unione fiscale, tale problema richiede in realtà una sostituzione parziale dei debiti pubblici nazionali con debito comune dell’Eurozona e tale da riportare il rapporto debito/PIL al di sotto del 100 per cento o, ancor meglio al rapporto-obiettivo del 60 per cento. Il debito comune sarebbe a sua volta garantito da risorse proprie dell’ESM raccolte con una imposta uniforme applicata ai paesi membri, in proporzione al PIL (allora, con un effetto redistributivo permanente) o al rapporto tra il debito pubblico e il PIL (allora ciascuno pagherebbe il suo). I titoli emessi dall’ESM diventerebbero anche l’attività priva di rischio della quale il sistema bancario (unico) dell’Eurozona potrebbe servirsi come strumento di liquidità a sostegno di tutte le sue operazioni.

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