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Popolare di Milano e Banco Popolare. Perché la Borsa sbaglia a picchiare sulle banche

giuseppe castagna, bpm

Ieri l’apertura europea ha dovuto fare i conti, oltre che col deterioramento del sentiment occorso in nottata, con la pessima vena del settore bancario, affossato dai risultati di Banco Popolare, che hanno pesato su Popolare Milano attraverso i concambi, e in generale su tutte le banche italiane, e dai progetti di fusione di Raffeisen. Di questi tempi, non bisogna dare troppe scuse agli investitori per vendere gli asset europei.

Con la debolezza degli ultimi giorni, il settore bancario nostrano ha praticamente cancellato la performance seguita all’istituzione del Fondo Atlante, giungendo a lambire i minimi segnati a febbraio e ad aprile. Per quanto personalmente deluso da quanto varato dal Governo in termini di riduzione dei tempi di recupero delle garanzie, trovo la cosa esagerata. In fin dei conti Atlante ha sollevato il mercato dal dover finanziare gli aumenti di capitale delle venete, e l’impatto sui Non Performing Loans non è ancora chiaro, e non lo sarà per un bel po’, ma esiste.

Il fatto è che a Giugno abbiamo l’aumento di capitale del Banco, imposto dall’ECB per la fusione con la Popolare, che produce il solito circolo vizioso sulle azioni (più scendono, più diventa potenzialmente dluitiivo l’aumento). E la grandinata di trimestrali (che non potevano in molti casi essere belle, viste le vicende bancarie del primo trimestre 2016) ha mantenuto elevata la pressione. Ora, tra i principali istituti mancano solo i risultati di UBI, Popolare Emilia e Credem (domani), e poi questa fonte di pressione dovrebbe esaurirsi. Tra l’altro Padoan ha dichiarato a Londra che il settore privato potrebbe decidere di incrementare gli investimenti in Atlante.

Nel pomeriggio, in assenza di dati rilevanti, la price action si è trascinata seguendo gli umori di una Wall Street incline a consolidare i guadagni di ieri. Peccato che l’Europa li abbia totalmente cancellati, mentre l’S&P 500 ne restituisce meno di un terzo mentre scrivo.

A metà pomeriggio, le scorte settimanali di petrolio pubblicate dall’EIA hanno completamente sovvertito il quadro presentato ieri sera da quelle API. Il report ha mostrato cali più o meno su tutti i prodotti (-3.4 mln di barili di oil, vs + 3.4 segnalati dall’API). Così il petrolio, che era intento a consolidare la salita di ieri, ha messo a segno un balzo del 3% ed al momento è intento a testare i massimi di periodo, in area 46 $.

L’azionario ne ha risentito solo modestamente, a ulteriore dimostrazione che gli investitori hanno smesso di seguire passo passo le oscillazioni dell’ (ex)oro nero.

Personalmente, sono assai più stupito dell’indifferenza con cui i bonds trattano i movimenti del petrolio e delle commodities in generale. Dai minimi di metà febbraio, l’oil e il paniere CRB hanno recuperato rispettivamente il 75% e il 17%. I rendimenti del treasury 10 anni (al 2.3% a fine 2015) pur osservando una certa volatilità, salgono di appena 8 bps, dal 1.66% dell’11 febbraio al 1.74% attuale. Quelli del Bund (allo 0.54% a fine 2016) poi, si trovano a 4 basis points dai minimi dell’anno (lo 0.09% segnato il 7 aprile).

L’effetto comodities si è in parte manifestato nelle attese di inflazione, salite di un 40 basis points dai minimi in US e più o meno della metà in Eurozone. Un impatto tutto sommato modesto (in particolare se si guarda agli attuali livelli di inflazione in US). L’assenza di reazione dei tassi nominali ha prodotto un robusto calo dei tassi reali, che hanno toccato in entrambe le aree ai minimi da 12 mesi, come accennato diverse volte i giorni scorsi.

Molti fattori hanno contribuito alla compressione dei tassi. In Eurozone abbiamo il QE ECB, recentemente aumentato d’importo, e i tassi negativi, che mantengono fermamente ancorata la parte breve (oggi il bot annuale è stato emesso a -0.14% di rendimento). In US la stance FED è stata progressivamente addolcita e la crescità è stata scarsa nel primo trimestre. Oltre a ciò, i tassi negativi in larga parte del globo hanno fatto convergere gli acquisti di fixed income assets sui treasuries, dove esiste ancora un po’ di rendimento.

Ciò detto, sembra difficile giustificare questi livelli, a meno che i) lo scenario macro globale non torni quello di febbraio, con connesse preoccupazioni di marcato rallentamento globale o ii) le commodities non invertano la marcia per riportarsi sui livelli invernali. Le chiusure europee vedono borse dei paesi industrializzati in rosso (Eurozone più degli altri), dollaro in lieve ritirata, il che insieme alle commodities sostiene gli indici emergenti. Stabili o in calo i tassi, compresa la periferia europea, nonostante le emissioni ultra long di Spagna e Italia (in arrivo).

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