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Cosa succede al cattolicesimo africano

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“C’è una tensione dialettica tra l’identità e la missione della Chiesa in Africa”, ha detto il cardinale ghanese Peter Turkson nella giornata conclusiva di un ricco summit di leader cattolici africani, promosso dal Center for Ethics and Culture dell’università francese di Notre Dame e intitolato “African Christian Theology: Memories and Mission for the 21st Century”, che ha avuto luogo a Roma dal 22 al 25 marzo. Un problema che si pone, nell’inculturazione del Vangelo nel continente africano, è “il metodo”, ha sostenuto Turkson: “Non può essere solo un’affermazione, ma deve essere una missione e un’azione. Come ha detto il Papa, fare proposte senza passare all’azione è fare ideologia”.

CONVEGNO CHE LANCIA IL “CATTOLICESIMO AFRICANO 2.0” SCRIVE JOHN ALLEN

Un convegno che ha “segnato il lancio di un cattolicesimo africano 2.0”, ha scritto il decano dei vaticanisti americani John L. Allen su Crux , rivista americana che ha coperto interamente l’evento con decine di articoli: vale a dire “più universalmente orientato”, “più onesto con sé stesso”, e “più misurato nel giudizio degli ‘altri’”.

“PER CAPIRE I PRINCÌPI BISOGNA AGIRE IN ACCORDO AD ESSI” DICE TURKSON

“La cristianità non considera se stessa semplicemente una stanza di preghiera ma deve, come insisteva San Giovanni Paolo II, essere inserita nella vita quotidiana e orientata alla riforma della realtà sociale”, ha proseguito il cardinale: “Per capire i princìpi permanenti della Dottrina sociale della Chiesa non basta studiarli, bisogna agire in accordo ad essi”. Concetto espresso anche da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, ha annotato il porporato, quando ha affermato che “le istituzioni da sole non bastano”, perché lo sviluppo umano integrale è “prima una vocazione”, ma che in secondo luogo “coinvolge una libera assunzione di responsabilità nella solidarietà da parte di tutti”.

“LA SENSAZIONE DI UN CATTOLICESIMO AFRICANO CHE STIA DIVENTANDO MATURO”

L’evento ha così riunito, nel corso dei vari incontri, sia in qualità di relatori che come pubblico intento a seguire i dibattiti, diversi cardinali, vescovi, sacerdoti e religiosi, oltre che numerosi studenti, tanto da far chiedere al vaticanista di Crux sulle pagine del quotidiano cattolico americano “chi stesse portando avanti le cose a casa propria”, visto che “l’intera struttura di potere della Chiesa africana sembrava fosse presente a Roma”. E si è discusso, ha proseguito il giornalista, di come “fronteggiare i numerosi problemi del continente” e di come stare al passo con gli “elevatissimi standard di crescita”: sfide “cominciate nel periodo post-coloniale” e “mai ritirate”. Ma per il reporter americano la sensazione prevalente è quella di un cattolicesimo africano “che sta passando da una fase di infanzia e adolescenza” a una “di crescente maturità”.

IL SINODO “CI HA CHIAMATI A TRASFORMARE LA TEOLOGIA IN CURA PASTORALE”

“Il tema del secondo sinodo in Africa (svoltosi nel 2009, ndr) ha a che vedere con la vita umana in società”, ma “non è un tema politico”, ha detto Turkson: “almeno non primariamente”. È teologico e pastorale: “adempie all’immagine della Chiesa-Famiglia di Dio del primo sinodo per l’Africa (del 1994, ndr) e chiama i pastori a trasformare la teologia in cura pastorale”. “Vale a dire in un ministero pastorale molto concreto, in cui le grandi prospettive ritrovabili nelle Sacre scritture e nella tradizione trovano applicazione nell’attività di vescovi e sacerdoti”. Facendo questo, ha concluso il cardinale, è tuttavia “molto importante che non si confonda attività pastorale con azione politica”, e “con la chiarezza sull’identità e la coscienza di essere Chiesa con una specifica e insostituibile identità”.

LE PAROLE DI BENEDETTO XVI RICORDATE DAL PORPORATO AFRICANO

La stessa ragione per cui Benedetto XVI – ha raccontato ancora Turkson – indirizzandosi ai membri della curia romana, chiese: “può il padre sinodale trovare la via stretta tra una semplice teoria teologica e l’azione politica immediata?”. La risposta, che diede lo stesso Ratzinger, fu: “non è una via facile. È situata tra l’immediato impegno politico, che esula dalle competenze dirette della Chiesa, e il potenziale di evasione o di riparo presente nella speculazione teologica e spirituale, che può fungere come fuga da responsabilità storiche concrete”.

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