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Vi racconto come sono andate a finire le nazionalizzazioni in Venezuela

Venezuela

Quando si parla di nazionalizzazioni, di ridare il potere allo Stato (nessuno vuole come lui il benessere dei cittadini) è inevitabile pensare al discorso sovranista in Venezuela del presidente venezuelano Hugo Chávez (qui il commento del direttore Roberto Arditti).

Era il 2006 e, da un giorno all’altro, Chávez annunciò una riforma energetica per ridare allo Stato e ai venezuelani il potere di amministrare e sfruttare le risorse petrolifere del Paese. Voleva sicuramente replicare il processo di nazionalizzazione del presidente Carlos Andrés Pérez nel 1971, che portò il Venezuela al periodo più prospero della sua storia. E a Chávez, nei primi anni, sicuramente funzionò. Con il prezzo del barile di petrolio alle stelle (120 euro) e le commissioni delle multinazionali a terra, le casse dello Stato si riempirono. Questa ricchezza, purtroppo, non è stata investita in progetti di sviluppo e manutenzione, ma si è persa in programmi di sussidio sociale di breve periodo.

Crollato il prezzo del petrolio è finita l’entrata di denaro (facile) per i cittadini. E l’industria petrolifera è rimasta orfana della competenza internazionale e del personale d’eccellenza. Proprio perché sono stati cacciati durante la smania di sovranità chavista. Oggi la petrolifera statale Petroleos de Venezuela (Pdvsa), una delle più grandi al mondo, ha diminuito la produzione da 4,5 milioni di barili al giorno a un milione al giorno. Molte piattaforme esplodono per mancato mantenimento, tecnologia adeguata e gestione incompetente. Il governo è costretto a comprare petrolio da Russia, Cina e Svizzera per rispettare impegni e soddisfare (parte) della richiesta interna di consumo e ha debiti (332 milioni di dollari con Halliburton, per esempio) e contenziosi aperti (con ConocoPhillips, per esempio). Non bastava la firma di un decreto per riappropriarsi, c’erano obblighi da rispettare. E al popolo venezuelano nessuno glielo ha detto.

Anche allora i mercati (nemici del Paese?) presagivano il futuro: il 9 gennaio del 2007, dopo la vittoria di Chávez, la Borsa di Caracas è scesa drammaticamente. Ma per il governo erano indicatori sopravvalutati. Tutto sarebbe andato per il meglio.

Così le nazionalizzazioni non si fermarono al settore petrolifero. Negli anni successivi, con poteri speciali, il presidente venezuelano approvò 60 leggi per portare il Venezuela verso il “Socialismo del XXI secolo”, fermando gli interessi dei capitalisti selvaggi per sostenere i cittadini più sfavoriti. Poche le persone che non applaudivano la scelta coraggiosa del nuovo capo dello Stato.

Altra missione di Chávez è stata la ripresa del controllo della prima compagnia telefonica del Paese, la Cantv. Il principale azionista era la compagnia americana Verizon. Chávez sosteneva che il settore doveva essere nazionalizzato perché era partito un piano di spionaggio contro il governo venezuelano. Oggi in Venezuela non esiste il rooming internazionale, Cantv blocca i siti internet critici al governo e molti segnali satellitari dall’estero (diventando uno strumento del totalitarismo) e fare una semplice telefonata molte volte è impossibile per il pessimo stato delle antenne di ripetizione.

Stessa fine per la Electricidad de Caracas, anche questa in mano agli americani della Aes Corp. Peccato che ora che è dello Stato venezuelano, il Venezuela vive una crisi energetica senza precedenti nella storia dell’America latina. Alcuni quartieri della città di Maracaibo sono al buio da 72 ore (in una città di 45 gradi di temperatura) e i black out sono sempre più frequenti, anche a Caracas.

Dodici anni dopo Chávez non c’è più, ma sono rimasti gli effetti negativi di un delicato processo che fu spinto dal discorso populista e la strategia politica di dire ai cittadini proprio quello che volevano sentirsi dire. Anche se dopo la messa in pratica di quelle misure sarebbe risultata più complessa di quanto sembrava in tempi elettorali.

È vero, il privato non sempre è garanzia di efficienza. A volte l’occhio dello Stato deve restare attento per sorvegliare che la voglia di profitto non strangoli i cittadini. Ma non sempre bastano le buone intenzioni. Come i ponti, i processi di nazionalizzazioni e riappropriazione della gestione pubblica richiedono solide basi di preparazione, personale competente e tecnologia.

Se qualcuno avesse avvertito ai venezuelani sugli effetti delle nazionalizzazioni del Socialismo del XXI secolo di Chávez (fame e isolamento) probabilmente il pericoloso populismo non sarebbe stato così popolare.

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