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L’antidoto ai populismi è un’Europa più salda. L’opinione di Guelfo Guelfi

Di Guelfo Guelfi
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È evidente che anche sottraendosi il più possibile a quel che circola su di noi – e prima o poi vedremo noi chi ?- non si riesce ad evitare lo sconforto, l’inadeguatezza, lo sgomento, che provoca l’encefalogramma piatto. Di fronte a quella linea che scorre hanno la meglio il sarcasmo, la supponenza, i toni, i colori della frase. Ci siamo cacciati in un grosso guaio e non sarà facile che noi stessi si sia il malato e la cura. Dovremmo avere due cose: la cenere in capo, la mano tesa. Non mi sembra di scorgere né l’una, né l’altra. Forse le abbiamo. Mi aspetto segnali più forti, più chiari.

Per motivi che non vi sto a dire sono a Berlino e posso dire che qui l’Europa c’è. Ha i suoi problemi ma c’è. C’è nella farmacia che mi ha prenotato una medicina, c’è nelle porte di un ospedale che si aprono con una fotocellula e chiunque ti si rivolga lo fa con una domanda per accoglierti, mai con un gesto per respingerti. C’è nel traffico intenso che nessuno tenta di forzare, nel parcheggio ordinato, nei toni di voce. Nulla è autosufficiente e tutti possiamo, in parte, anche piccola, dare una mano.

Fare un pezzo del lavoro che serve. Il pezzo di competenza. C’è di tutto davvero. Le strade che cuciono il vecchio ovest restato isolato nell’est e il nuovo est ora assunto dall’ovest continuano a manifestare la scala dei grigi, eppure ancora sembra possibile sperare e lavorare per un futuro migliore. Sarà davvero così ? Gli amici che frequento stanno bene. Si dicono preoccupati. Vennero ormai tanti anni fa, si insediarono, lavorarono sodo, intraprendenti e italiani. Portavano il gusto, quello delle papille, lungo le vie della città; portarono anche altro, portarono se stessi e la capacità di fare, ora sono qui.

Preoccupati ma non tanto da pensare di lasciare quel che sono, quel che hanno. Loro sono europei : rispettano le strisce, chiedono permesso, non parcheggiano in terza fila, i loro figli usciti dalla scuola tornano a casa in bici da soli; se fumano c’è un posa cenere a qualche metro di distanza, percorrono lo spazio e la cicca la buttano lì, non per terra per poi schiacciarla con la punta del piede. Voglio dire che la questione è si politica ma è soprattutto personale.

Ognuno ha il suo bel daffare e quanti fin qui abbiano seguito, anche con entusiasmo la recente vicenda politica del nostro Paese, avrebbero da guadagnare, più che a pensare alla rincorsa, a produrre un bel massaggio cardiaco. Lo spazio va occupato prima che si chiuda. Rispettabili perché rispettosi. Rispettosi perché rispettati. Dare e darsi prova che il gioco vale la candela, che i risultati sono possibili, che la qualità di un progetto dipende tutto dalla qualità dei comportamenti con cui viene realizzato.

In Europa in gioco c’è quel tanto che è stato fatto. Uscimmo da cumuli di macerie, ognuno porta in tasca la foto di un parente ucciso, dolgono ancora i corpi, i lividi, le cicatrici. Tutto è ordinatamente esposto e frequentato, a pochi metri da qui. Saranno una ventina gli studenti seduti su un muretto vicino al museo dell’olocausto che ascoltano la teacher. Descrive tenace, li tiene ancorati. Scorro passando i loro occhi. Sembrano dire: Madonna mia!

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