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Obama torna e offre una visione ai Democratici (non solo Usa)

Di Flavio Arzarello

Diversi commentatori si sono soffermati sulla eccezionalità del recente attacco di Barack Obama all’attuale Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Sicuramente una presa di posizione così forte da parte di un ex Commander in Chief rispetto a un suo successore è sostanzialmente un unicum nella storia americana. Tuttavia sarebbe un errore leggere questo episodio come un fatto estemporaneo, o esclusivamente legato alla scadenza delle elezioni di mid-term.

La strategia del 44esimo Presidente Usa nel nuovo quadro non inizia oggi e punta al medio-lungo periodo.

Il primo atto del ritorno in campo di Obama, dopo la lunga pausa all’indomani della fine della sua Presidenza, è stata la lecture tenuta in Sud Africa per i cent’anni dalla nascita di Nelson Mandela nel luglio scorso: in quell’occasione Obama partì da lontano, rivendicando il ruolo dei movimenti di liberazione – da Mandela, a Gandhi, a M. L. King – nello sviluppo delle democrazie nel ‘900 e nella conquista di un sistema inclusivo basato sul mercato (inclusive market-based system), contrapposto ai fallimenti dei regimi totalitari. In quella stessa occasione, senza mai citare il suo successore, affermò che chi crede nell’uguaglianza, nella libertà e nella giustizia come valori fondamentali per il progresso oggi ha un racconto migliore e più convincente da proporre rispetto alla visione sovranista.

Un discorso alto, fuori dalle contingenze, teso a delineare un perimetro valoriale e una visione del mondo per questi uncertain times.

Il secondo passaggio importante è la recente eulogy al funerale del suo ex sfidante del 2008 John McCain: un discorso in cui Obama ha ricordato le qualità del suo opponent, riconoscendogli statura politica, rigore morale, attaccamento alla Patria e ai valori americani. Questo è il punto chiave: il primo Presidente afroamericano riconosce alla vecchia guardia repubblicana, da McCain ai Bush (con i quali non mancano espliciti segni di intesa) l’aderenza ai valori americani al di sopra delle divergenze sulle policies, riassumibili nelle parole della Declaration of Indipendence “All men are created equal, […] with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the Pursuit of Happiness”, citata esplicitamente.

Seppur implicitamente, Obama delinea un perimetro “costituzionale”, ponendone al fuori l’attuale inquilino della Casa Bianca.

Il discorso di pochi giorni fa in Illinois, sicuramente il più politico, si inserisce in questo solco: Obama ricorda che fu Abraham Lincoln, un repubblicano, a vietare la schiavitù, come esempio per affermare che nessuno dei due partiti detiene “il monopolio della saggezza”. Il suo appello, che definisce radicali (nel senso di estremiste) le politiche trumpiane, si rivolge dunque anche ai conservatori che vedono gli Stati Uniti scivolare lungo un piano inclinato che ­– secondo Obama – rischia di far arretrare gli Usa e isolarli sul piano internazionale.

L’altro tassello del ragionamento è una lettura originale del populismo: per Obama sono le élite spaventate dal cambiamento che fanno leva sulle paure, spesso legittime, per dividere le “ordinary people”.

Il tentativo evidente è di ribaltare la narrazione popolo vs élite, accusando proprio le élite di dividere il popolo per mantenere lo status quo e di costruire una nuova coalizione sociale: non più, o non solo, la classica Obama coalition, la maggioranza di minoranze che lo portò alla Casa Bianca nel 2008 e nel 2012, ma un fronte costituzionale che mobiliti anche elettori storicamente o culturalmente repubblicani.

C’è da dire che Obama è riuscito a mobilitare la sua base unicamente quando si è candidato in prima persona: i democrats infatti furono sconfitti alle elezioni di mid-term del 2010 e del 2014, oltre che alle scorse presidenziali. Quindi una sua forte influenza sui candidati dem up and down the ballot nelle elezioni del prossimo novembre è tutt’altro che scontata.

In un Partito democratico in piena crisi di identità, che stenta a trovare parole e idee per contrastare il tycoon, Obama potrebbe guardare più in là e puntare alla costruzione dell’alternativa per le presidenziali del 2020, magari utilizzando le elezioni di mid-term come scouting. Il nuovo ruolo a cui l’ex senatore dell’Illinois potrebbe aspirare, anche attraverso la fondazione che si sta occupando soprattutto di community organizing, è di mentore per una nuova generazione di leader. Anche questo sarebbe un unicum nella storia americana. In ogni caso, nella crisi di leadership (e di pensiero) da entrambe le sponde dell’Atlantico, possiamo star certi che le sue parole influenzeranno significativamente il dibattito nel mondo progressista nei prossimi mesi.

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