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Siria, perché il sistema russo di difesa aerea S-300 cambia le carte in tavola

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A meno di un accordo tra Putin e Netanyahu in persona nel giro delle prossime settimane (cosa che ad ora pare abbastanza improbabile), la consegna del sistema S-300 alla Siria si farà. Sarà probabilmente più formale che sostanziale, ma lancerà un messaggio chiaro: Mosca ha messo i piedi nel “mare caldo” e intende difenderli a ogni costo. Parola di Francesco Tosato, senior analyst ed esperto militare del Centro Studi Internazionali (CeSI), che Formiche.net ha raggiunto per commentare l’annuncio della consegna al regime di Damasco del sistema di difesa terra-aria arrivato direttamente dal ministro della Difesa russo. Nel 2013, su richiesta israeliana, la fornitura all’alleato Assad era stata fermata, salvo il recente ripensamento che ha fatto seguito all’abbattimento della aereo russo IL-20 nel corso di un raid israeliano in Siria, il quale ha causato 15 morti.

LA TELENOVELA DELL’S-300 ALLA SIRIA

“Quella dell’S-300 per le Forze siriane è una telenovela che va avanti da anni, con valutazioni che erano iniziate già prima che scoppiasse la guerra civile da parte di Damasco, ben conscia dell’inadeguatezza dei propri sistemi a lungo raggio”, ha ricordato Tosato. “Fino ad oggi, nell’ambito delle relazioni con Israele, la Russia aveva desistito”. Per Tel Aviv, è d’altronde “inaccettabile” che la Siria disponga di “un sistema con un raggio di scoperta di 300 chilometri, capace, se posizionato al centro della Siria, di monitorare direttamente lo spazio aereo israeliano, individuano i velivoli appena decollano”. Ebbene, con l’abbattimento dell’IL-20 “tutto è cambiato”.

IL RUOLO DEL MINISTERO DELLA DIFESA

Il ministero della Difesa russo è rimasto “sgomento di fronte alla perdita dell’aereo e di 15 uomini in un incidente di questo tipo”, e ora sta dunque “premendo su Putin affinché permetta l’effettiva consegna dell’S-300 al fine di incrementare la capacità siriana di protezione dello spazio aereo”. Finora, il Cremlino aveva ritenuto prevalente l’interesse strategico dei rapporti con Israele, a cui la Russia “ha sempre consentito di effettuare raid contro obiettivi iraniani in Siria purché non interferissero con le proprie operazioni militari”. L’abbattimento dell’IL-20 cambia le carte in tavola e rischia di far prevalere la linea del ministero della Difesa dimostrando “la necessità che la Siria difenda il proprio spazio aereo da intrusioni esterne anche per dare sicurezza ai russi senza che questi si impegnino formalmente in prima persona”.

UN’ESIGENZA TECNICA PER I RUSSI

La prima esigenza è dunque di carattere tecnico. “I siriani hanno sistemi, come gli anziani S-200, che fino ad oggi hanno svolto malissimo il loro lavoro, sia per ragioni di obsolescenza tecnica sia per un addestramento del personale della difesa aerea fiaccato dalla guerra e quantomeno approssimativo”. Ciò determina, ha notato Tosato, “la vulnerabilità di asset strategici russi nella base aerea di Latakia e in quella navale di Tartus”, che Mosca ha sempre protetto con sistemi S-300 e S-400 gestiti e operati da mani russe. Ricorrere a loro in casi come quelli che hanno portato all’incidente dell’IL-20 rischierebbe però di innescare una crisi internazionale di “proporzioni enormi”. Da qui, l’idea di affidare ai siriani l’S-300, sebbene in un’unica batteria “perché il costo è importante e perché la Russia lo deve fornire gratuitamente”. Per Damasco ciò sarebbe “una digitalizzazione della difesa aerea, che passerebbe improvvisamente dagli anni 60 agli anni 2000, il tutto ammettendo la capacità di gestire un sistema così performante”.

IL RISCHIO DI UN DANNO COMMERCIALE

In effetti, d’altra parte, la scarsa dimestichezza delle Forze di Damasco con questi avanzati sistemi potrebbe rappresentare un rischio per Mosca. “L’S-300 è un sistema complesso”, ha ricordato Tosato. “È vero che tra il 2012 e il 2013 i siriani avevano fatto un pre-training in Russia per la probabile consegna, ma poi è risultata evidente la scarsa efficacia della difesa siriana, anche con sistemi a medio e corto raggio piuttosto moderni che hanno ottenuto scarsi risultati con l’aviazione israeliana”. Affidare l’S-300 a forze impreparate potrebbe ritorcersi contro la Russia da un punto di vista commerciale. “Se dovesse venire attaccato (e sarà sicuramente un target delle Forze israeliane) e neutralizzato, ciò inciderebbe sull’immagine di bestseller a livello mondiale che Mosca ha costruito sul sistema, assestando un duro colpo di marketing a un prodotto” venduto a mezzo mondo insieme all’S-400 “senza mai essere stato visto in operazione”.

UNA CONSEGNA SOLO FORMALE

Da qui, l’ipotesi che la consegna (necessaria per questioni tecniche e operative ma sconveniente sul fronte commerciale) sia “più formale che sostanziale”. In altre parole, “la batteria potrebbe essere gestita sulla carta dai siriani, ma in realtà essere controllata e operata da personale russo, che verrebbe presumibilmente inserito nella gestione ordinaria del sistema”, ha notato l’esperto. A sostegno dell’ipotesi di una consegna più formale che sostanziale c’è stata la disponibilità annunciata dal ministro della Difesa russo ad equipaggiare le Forze siriane “con sistemi automatici idonei a individuare i velivoli russi operativi”. Ciò significa dare a Forze armate non ben preparate “i codici più sensibili che si possano cedere, quelli di identificazione dei velivoli”. Si tratta di “un percorso poco fattibile”, che rende “più probabile che siano i russi a sovraintendere le operazioni sull’S-300 e dell’intera difesa aerea siriana in maniera pervasiva.

SE ISRAELE NON CAMBIA IDEA

Eppure, tale ipotesi continuerà a non andare giù a Israele, “che ha sempre detto di non accettare sistemi Sam (superficie-aria) di lungo raggio in territorio siriano; con un raggio di scoperta di 300 chilometri e di 200 per l’ingaggio, l’S-300 sarebbe in grado di coprire metà dello spazio aereo siriano e colpire i caccia di quarta generazione riducendone la possibilità di colpire i target iraniani e di Hezbollah”, ha spiegato Tosato. Fino ad ora, tali obiettivi erano ingaggiati dall’Aeronautica Israeliana tramite “munizionamento a lunga gittata”, con “ordigni sganciati a 70/100 chilometri di distanza; con l’S-300 tutto questo cambia, considerando anche che il sistema è in grado di ingaggiare da 6 a 12 bersagli contemporaneamente”.

DOVE SARÀ POSIZIONATO L’S-300

È comunque probabile che Putin non intenda sfibrare troppo i rapporti con Israele, e ciò inciderà sul posizionamento dell’S-300. Netanyahu non accetterebbe mai che il sistema sia posto vicino a Damasco, “idea che però sarebbe razionale per proteggere la capacità e tutto l’entourage delle forze del regime”. Anche per questo, “è quasi sicuro che venga posto più a nord, a protezione delle basi di Latakia e Tartus e delle forze di Mosca nel Mediterraneo”. Lì sarebbe “più complesso attaccarlo per gli israeliani”, e dall’altra parte darebbe loro meno fastidio. Ciò rende tra l’altro più evidente il messaggio politico che Mosca vuole lanciare a Tel Aviv: “Non venite a fare raid in questa zona che per noi è strategica” ed è protetta “con un ombrello difensivo che ha la bandiera siriana” e dunque formalmente più legittimato alla difesa aerea dello spazio nazionale.

I PIEDI NEL MARE CALDO

Tutto questo risponde perfettamente all’interesse prioritario del Cremlino: “Rendere chiaro il principio per cui i russi hanno messo i piedi nel mare caldo e non intendono levarli”. Non a caso, ha notato Tosato, “i russi stanno ripristinando le capacità navali della base di Tartus, hanno la base aerea di Latakia e non vogliono che le proprie operazioni militari dirette nell’est del Mediterraneo vengano minacciate dagli interessi di altri Paesi, compreso quello israeliano di colpire gli obiettivi iraniani in Siria, cosa che hanno sempre tollerato ma che non ammettono qualora vada a ledere l’operatività delle loro Forze”. Pure la consegna “formale” dell’S-300 va letta in questo modo, anche perché ripercorre “cose già successe, ad esempio durante le guerre arabo-israeliane, quando i consiglieri sovietici gestivano le batterie missilistiche egiziane e, probabilmente, anche siriane”. Si tratta, ha concluso l’esperto, di riproporre “un vecchio schema: assicurarsi la difesa dei propri interessi cedendola formalmente ad altri così che, se tali sistemi venissero utilizzati, si potrà dire che la colpa non è della Russia”.

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