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Phisikk du role – La democrazia orientalis karma

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Perfino l’autocrate Lee Kuan Yew, padre fondatore, guida e primo ministro della città Stato di Singapore per trent’anni (dopo la sua morte alla guida del Paese c’è il figlio Lee Hsien Loong), sentì il bisogno di una opposizione. Infatti accadeva che, ogni volta che il partito da lui fondato, il Pap, si presentava alle elezioni, faceva il pieno dei voti portando a casa tutti i seggi disponibili nell’assemblea parlamentare. Così nel ’58, poi nel ’68, e ancora nel ’72, nel ’76 e nell”80.

Solo nell”81, in una tornata di voto anticipato, l’opposizione guadagnò un seggio. Lee capì che una cosa così non era molto estetica agli occhi di quel mondo occidentale con cui intrecciava solidi rapporti commerciali e decise che era giunto il momento di ornare il parlamento singaporese di un pò di presenze delle minoranze. Così dal 2000 vennero introdotti alcuni seggi non elettivi da assegnare ai perdenti dell’opposizione che avessero ricevuto più voti. Siamo in pieno Far East, dove la democrazia parlamentare europea, ancorché recepita nelle forme (a Singapore il modello sarebbe quello inglese), acquista un karma particolarissimo, imbevuto di valori “confuciani” alquanto diversi da quelli europei e quello che viene fuori da quest’amalgama non è propriamente una democrazia di tipo francese, inglese, italiana o tedesca. È un’autocrazia a cui il cittadino cede parti fondamentali della sua libertà personale in cambio di ordine, sicurezza e prosperità. In Italia vige, secondo la dottrina, una democrazia ispirata dalla forma di governo parlamentare.

In questa democrazia la maggioranza governa e l’opposizione svolge il ruolo fondamentalissimo di pungolo, di critica, di controllo e di proposta alternativa alla maggioranza, nella prospettiva di un’alternanza. Lo schema storicamente ha funzionato: nella prima Repubblica con il bipartitismo imperfetto che vedeva la Dc egemone nell’area di governo e il Pci fortissimo detentore del ruolo di opposizione. Nella seconda, con la dialettica bipolare che vedeva l’alternarsi di coalizioni ad egemonia berlusconiana da un lato e prodiana dall’altro. Dopo uno strano e lungo tempo in cui non ci si è raccapezzati più – governi che hanno cavalcato senza sella i destrieri selvaggi della crisi finanziaria (Monti) e legislature con maggioranze precarie e qualche bagliore di unità nazionale (quella passata) – saremmo sbarcati nella terza Repubblica, che sarà ricordata ai posteri come quella dove non si usa più l’opposizione.

Beninteso: l’opposizione ci sarebbe, ma è un po’ come quella di Singapore, il necessario ingrediente per ottenere il bollino blu della democrazia parlamentare. Nel versante destro (berlusconian-meloniano) c’è la condizione ambigua di considerare amico l’uomo forte del governo Salvini, che è, peraltro, alleato locale. In quello sinistro l’azionista più forte, il Pd, è ripiegato sulle sue paturnie congressuali e non si rende riconoscibile per la proposta alternativa e neanche per la leadership. L’opposizione non può essere il rito delle dichiarazioni ai tg e di qualche comparsata nei talk show. Nel frattempo il governo fa tutto: maggioranza, opposizione e parecchia caciara. Senza disturbo.

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