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I dubbi sulla sentenza della Corte Costituzionale sul “Jobs App”

Personalmente credo che la Corte Costituzionale non abbia in alcun modo restituito “dignità” al ruolo del “Giudice del lavoro”, non credo che responsabilità, proattività, uguaglianza e ragionevolezza siano minate e /o limitate dalla previsione di un “risarcimento crescente collegato all’anzianità di servizio” così come stabilito nella recente sentenza pubblicata l’8 novembre 2018. Non credo questo perché non ritengo che restituendo al “Giudice” la discrezionalità di cui si parla, si possa restituire tutta quella serie di “diritti, principi” presuntivamente violati.

Ma non è tutto. Credo altresì che la Corte abbia restituito un “problema”, ovvero proprio ciò che si dovrebbe evitare quando ci si trova innanzi alla “Giustizia”, due casi sostanzialmente analoghi trattati giuridicamente in modo diverso. Questo sì che è il tema centrale, il quotidiano accaduto nei Tribunali del lavoro d’Italia. Ma questo lo sa solo chi ha esperienza. La Corte restituisce ancora un altro problema irrisolto socialmente e politicamente: il dramma della perdita del posto di lavoro non sarà mai sanato dal “risarcimento previsto anche nella misura massima” e, laddove ciò in alcuni casi dovesse accadere ci troveremmo di fronte ad un’ingiustizia.

Il “dramma” si neutralizza solo con la certezza di trovare un altro posto di lavoro in un tempo ragionevole, un tempo che consenta di guardare al futuro senza timore di rimanere inoccupato a vita. Sapete di cosa parlo? Le famose politiche attive. Ancora una volta si ribalta verso l’impresa – che in realtà è lo strumento per la realizzazione dell’occupazione – l’inconsistenza delle politiche del lavoro.

 

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