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La Cina (per prima) sulla faccia nascosta della Luna. Tutte le ambizioni di Pechino

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Primato spaziale per la Cina, primo Paese ad allunare sul lato nascosto del nostro satellite naturale. La sonda Chang’e-4 si è posata nella notte italiana sul cratere di Von Karman, situato nella parte che la Luna non rivolge mai verso la Terra. Nessun Paese lo aveva fatto prima, e questo basta per descrivere l’ambizioso programma spaziale di Pechino, con una tabella di marcia impressionante sia per l’esplorazione (robotica e umana) sia per gli aspetti militray, a cui Pechino dimostra di tenere in modo particolare.

IL PROGRAMMA

Partita dalla base di Xichang, nella provincia sud-occidentale del Sichuan, a bordo di un razzo Lunga Marcia-3C, la sonda Chang’e-4 è arrivata con successo a destinazione. Dotata di un lander e di un rover, analizzerà il suolo e il sottosuolo lunare nel corso della sua missione. Il problema delle comunicazione con la Terra, e cioè l’ostacolo rappresentato dalla Luna, era già stato risolto a maggio. Allora, su un Lunga Marcia-4C era partito Queqiao, satellite in orbita lunare con una doppia missione: ascoltare il cosmo a basse frequenze, al fine di capire qualche cosa in più sulla nascita dell’Universo; e fungere da satellite relay per rimbalzare il segnale di Chang’e 4.

UN GRANDE RISULTATO

L’arrivo sul lato nascosto (e non oscuro) “è una cosa grandiosa”, ci ha spiegato Nichi D’Amico, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). “Le sonde robotiche che fin’ora sono andate sulla Luna, così come gli astronauti, sono arrivati sulla faccia visibile da Terra; questo per motivi di carattere prevalentemente tecnico, dovuti ai problemi di comunicazione”. Per risolverli, ha aggiunto il professore, “i cinesi hanno messo sul punto di Lagrange in orbita lunare una navicella spaziale che lì galleggia (per l’appunto il Queqiao, ndr), fungendo da ripetitore a circa 60mila chilometri dalla Luna”. Ciò apre “alla prospettiva di poter inviare altre sonde su quella faccia nascosta, ad esempio un vero e proprio insediamento di osservazione, cosa di cui i cinesi sembrano parlare”, ha rimarcato D’Amico.

ASCOLTARE L’UNIVERSO

È proprio questo l’aspetto “molto interessante: poter utilizzare radiotelescopi al di fuori del rumore elettromagnetico che noi stessi generiamo, anche solo con i cellulari e con i ponti radio”. Sulla Terra, infatti, “dobbiamo lottare contro molte interferenza; un radiotelescopio posto sul lato nascosto della Luna sarebbe invece schermato, e ciò è un elemento rilevantissimo dal punto di vista astronomico”. In altre parole, ha aggiunto il presidente dell’Inaf, “in futuro ci potranno essere altri impianti, radiotelescopi che, in assoluto silenzio, ricevono segnali cosmici, impacchettano i dati e li inviano sulla navicella-ripetitore che, a sua volta, li rimbalza sulla Terra”.

LE MISSIONI LUNARI DI PECHINO

In questo modo, “la Cina sta evidentemente dimostrando tutta la sua potenza di fuoco nello Spazio, sia con grandi infrastrutture da Terra, sia con missioni esplorative”, ha aggiunto D’Amico. “Pare che nel 2019 lancino, sempre per la Luna, una missione di ritorno (la Cheng’e-5, ndr): un programma impegnativo che prevede la raccolta di campioni e il loro trasporto sulla Terra per analisi”. Ciò, ha notato il professore, “lascia presupporre che nel giro di qualche anno potranno mandare anche una missione con astronauti”. Difatti, l’allunaggio sul lato nascosto è solo l’ultima tappa in ordine temporale dell’ambizioso programma Chang’e, serie di missioni che prendono il nome dalla Dea cinese della Luna. Nel 2007 e nel 2010 sono partite rispettivamente Chang’e-1 e Chang’e-2, con due sonde orbitanti intorno al satellite. Nel 2013, Chang’e-3 ha condotto sulla superficie un lander e un rover che, nonostante alcuni problemi di mobilità, ha operato per 31 mesi.

VERSO UN NUOVO PALAZZO CELESTE

Non c’è però solo la Luna nella ricca tabella di marcia spaziale cinese. Altrettanto ambizioso è infatti il programma che dovrebbe portare in orbita terrestre il terzo Palazzo celeste di Pechino (Tiangong-3). Dopo la rovinosa caduta del primo, che generò apprensione nella notte di Pasqua lo scorso aprile, il piano è il lancio in una stazione spaziale costantemente abitata che eredita l’esperienza che Pechino sta acquisendo con la Tiangong-2, attualmente in orbita. Il secondo laboratorio è stato lanciato nel 2016 e raggiunto a ottobre di quell’anno, a 13 anni dalla missione Shenzhou 5 che portò in orbita Yang Liwei (primo uomo cinese nello spazio) dagli astronauti Jing Haipeng e Chen Dong, tornati sulla Terra dopo oltre un mese.

ANCHE L’ITALIA A BORDO?

Alla Tiangong-3 potrebbe aderire anche l’Italia, forte dell’esperienza maturata contribuendo alla Stazione spaziale internazionale (Iss). Ha ricordare l’opportunità della sponda cinese è stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, delegato (come previsto dalla legge di riforma della governance nazionale) dal premier Giuseppe Conte per guidata il Comitato interministeriale per le politiche spaziali. Intervenendo a metà dicembre di fronte alla commissione Attività produttive di Montecitorio, Giorgetti ha ricordato che il progetto di collaborazione con la Cina era stato “avviato dall’ex presidente dell’Asi, che aveva chiesto ai ministeri competenti di garantire la copertura economica tra il Mise (170 milioni di euro) e il ministero della Ricerca (130 milioni)”.

I PIANI PER LA TIANGONG-3

Su queste cifre, ha detto il sottosegretario, è arrivato il via libero dal nuovo Comitato interministeriale: l’Italia sarà a bordo della stazione cinese, con operatività prevista per il 2024. Il progetto, ha spiegato Giorgetti, è “strategico perché coinvolge 18 nostre aziende e conferma il primato italiano nella costruzione di moduli abitativi per le stazioni spaziali”. Il contributo italiano riguarderà soprattutto “sviluppo e realizzazione di un modulo cupola orbitale”; un risultato importante per il sistema-Italia, poiché “nessuno Paese europeo oggi può vantare un così forte rapporto diplomatico-industriale con la Cina in ambito spazio”. Certo, non sarà abbassata la guardia sulla fame cinese per le eccellenze e le competenze nazionali. “Sono state fatte tutte le valutazioni necessarie per prevenire il rischio del trasferimento tecnologico non autorizzato – ha assicurato ai deputati Girogetti – spero di essere stato chiaro in questo senso”.

LA MILITARIZZAZIONE DELLO SPAZIO

Ma la Cina è particolarmente attiva anche sul fronte military, consapevole che lo spazio extra-atmosferico può essere dominio rilevantissimo nella nuova competizione globale. D’altronde, già nel 2007, Pechino realizzava il primo test militare di questo tipo, colpendo con un missile un proprio satellite meteorologico non più attivo. Oggi come allora, l’attivismo spaziale cinese ha alimentato le preoccupazioni degli Stati Uniti, tradotte più di recente nel piano voluto da Donald Trump per la nuova Space Force. Nonostante i programmi di Pechino siano sempre avvolti da un certo mistero (anche per il timore di eventuali fallimenti rispetto alle previsioni iniziali), d’altra parte è nota l’ambizione del Dragone. “Chi ha letto il documento non classificato Space science & technology in China: a road map to 2050, preparato dall’Accademia cinese di scienze ed edito da Beijing Science Press – ci ha spiegato il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa – si accorge che i cinesi non perdono un colpo e raggiungono ogni gradino successivo con efficiente puntualità”.

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