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Algeria, tra “golpe soft” e rischio di implosione sociale. Parla Torelli (Ispi)

Quando un processo elettorale è cancellato o rimandato, sorge sempre il dubbio sullo stato di salute della democrazia. È il caso dell’Algeria, dove era previsto il voto per la scelta del nuovo presidente della Repubblica il prossimo 4 luglio, ma il Consiglio costituzionale ha deciso di annullarle. L’istituzione ha respinto le richieste di due candidati, dichiarando l’impossibilità di andare alle urne.

Lo scenario politico algerino è complesso: dopo 20 anni di presidenza, Abdelaziz Bouteflika è stato sostituito da Ben Salah (dimesso da quasi due mesi), ma di fatto il processo di transizione sembra essere guidato dai militari del generale Gaid Salah.

RINVIO CONVENIENTE

Stefano Maria Torelli, associate research fellow dell’Ispi, ha spiegato in una conversazione con Formiche.net la scelta dietro alla cancellazione del voto: “Il rinvio delle elezioni è dettato dal fatto che, nei circoli di potere vicini ai militari e alle élite politico-economiche del Paese, non si è ancora definita una via per la transizione”. L’analista sostiene che in questo momento in Algeria non vi sono successori che possono assicurare ora un passaggio di potere, garantendo un reale cambiamento, ma anche lasciando ai militari la loro influenza. “In questo stallo, che ha portato anche alla crisi dei mesi precedenti – ha aggiunto il ricercatore – il regime transitorio cerca di prendere tempo e, dunque, da qui la decisione di posticipare le elezioni”.

PRESIDENZA INDEFINITA?

Il rischio che il presidente ad interim Ben Salah resti al potere in maniera indefinita c’è, anche se non direttamente da lui ma forse da una persona afferente alla sfera militare. “Probabilmente lo stesso intento iniziale dell’esercito, quando ha deciso di assumere il potere ad interim, era proprio quello di mantenerlo, dopo aver ricostruito gli equilibri interni al regime – ha ricordato Torelli -. Molti manifestanti non si ritengono soddisfatti, temendo che l’esercito possa sfruttare questo periodo di transizione per influenzare in maniera sempre più determinante l’esito della traiettoria politico-istituzionale dei prossimi anni”.

“In effetti, Gaid Salah sarebbe diventato, secondo alcuni, molto più credibile come attore politico, avendo contribuito direttamente alla caduta di Bouteflika – ha aggiunto – fino al punto che in molti hanno criticato la dinamica di questo passaggio di poteri che sembrerebbe nascondere più un ‘golpe soft’ che una vera e propria transizione a iniziativa popolare”.

SCENARI POSSIBILI

Secondo Torelli, non si può ancora prevedere quale sarà la direzione della crisi politico-istituzionale in Algeria che ha già visto le dimissioni dell’ex presidente Bouteflika e del presidente del Consiglio costituzionale Tayeb Belaiz: “I militari, sotto la guida di Gaid Salah, stanno di fatto avendo un ruolo da protagonista nella fase transitoria e, secondo alcune interpretazioni, è probabile che l’esercito stia puntando a un cambio di regime che sia soltanto di facciata. Se così fosse, si potrebbe dire che l’Algeria va verso uno scenario di tipo “egiziano”, con le forze armate che, sfruttando una fase di tensione sociale e crisi economica, hanno intenzionalmente delegittimato la classe politica presentata come responsabile della difficile condizione sociale, per poi imporsi come unica alternativa possibile al caos e come principale responsabile delle decisioni politiche del paese”.

Restano la possibilità di uno scenario “alla tunisina”, con una reale transizione politica, e quella più cupa di uno scenario “alla siriana”, con lo scoppio di un conflitto più ampio. Al momento, quest’ultimo scenario sembra però meno plausibile.

GLI EFFETTI SULL’ECONOMIA

Intanto, l’economia algerina comincia a soffrire gli effetti della crisi politico-istituzionale. Come sottolinea Torelli, “il tasso di disoccupazione, oltre il 12% nel 2018, è tra i più alti dell’intera regione mediorientale e nordafricana, che pure soffre strutturalmente la piaga della disoccupazione”.

E aggiunge che la situazione è molto più grave per le fasce di popolazione più giovani: “La disoccupazione giovanile, infatti, si attesta a livelli superiori al 30%, in un paese in cui il 52% della popolazione ha meno di trent’anni. Tale situazione genera degli scompensi a livello sociale che, sommati alle difficoltà strutturali del sistema economico e ai meccanismi di clientelismo e corruzione che lo caratterizzano, hanno funto da motore per le proteste cui stiamo assistendo negli ultimi mesi”.

Dunque, il rischio di un’implosione sociale esiste, “anche se al momento l’Algeria dispone ancora di risorse da ridistribuire visti i proventi petroliferi”, ha detto Torelli. Tuttavia, anche questi ultimi stanno calando: “Se nel 2007 rappresentavano più del 30% del Pil algerino, nel 2017 si erano ridotte di più della metà, fino a costituire soltanto poco più del 10% del Pil nazionale”.

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