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Libia, i bombardamenti (di Haftar?) non risparmiano un deposito dell’Eni

Un attacco aereo ha colpito martedì sera un magazzino di stoccaggio della Mellitah Oil & Gas, ossia della joint-venture tra la National oil corporation (Noc) e l’italiana Eni. A quanto si apprende da fonti locali, potrebbero essere state le forze che rispondono al signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, a centrare l’edificio che si trova a Tajoura, un sobborgo di Tripoli su cui non sfonda l’aggressione haftariana, è stato danneggiato ferendo tre lavoratori.

Una nota stampa della Noc ha confermato le circostanze e aggiunto che ci sono state “perdite materiali” significative, come dimostrabile da alcune immagini diffuse. Nel tardo pomeriggio Eni ha diffuso una precisazione su quanto successo e specifica che si è trattato di un incidente (di carattere militare) e che “le attività di Eni nel Paese procedono regolarmente“. L’attacco ha interessato una postazione militare di una delle milizie tripoline che difendono la capitale da Haftar, la quale si trova contigua al magazzino di stoccaggio della Mellitah O&G. Da lì s’è sviluppato un incendio che ha coinvolto anche le strutture della Mog.

 

Al momento non è chiaro cosa fosse contenuto all’interno del magazzino: la Mellitah O&G esporta prodotti petroliferi via Mediterraneo da Mellitah, una città costiera che si trova a un centinaio di chilometri da Tripoli, verso il confine tunisino (è nota per essere stato il luogo da cui quattro anni fa furono rapiti quattro dipendenti italiani di Bonatti, vicenda che poi si chiuse drammaticamente con la morte di due di loro durante la liberazione).

Quello di stanotte, è stato il primo attacco confermato su un’area petrolifera amministrata da un’azienda straniera da quando Haftar ha lanciato la campagna per conquistare Tripoli, per poi scalzare il Governo di accordo nazionale onusiano (Gna) e intestarsi un processo di forza che lo avrebbe portato a essere il nuovo rais.

La vicenda ha un valore elevato, perché le strutture petrolifere sono la principale risorsa economica libica, centro dell’interesse interno e dell’attenzione di diversi attori stranieri – non soltanto quelli direttamente interessati dalla dimensione economica-commerciale del petrolio libico, in questo caso l’Italia, ma anche altri paesi che seguono le dinamiche libiche e che comprendono il valore geopolitico e stabilizzatore delle risorse energetiche.

“Stiamo assistendo alla distruzione delle strutture della società sotto i nostri occhi”, ha detto il presidente della Noc, Mustafa Sanalla, commentando l’incidente (per così dire). Una suggestione: al di là dell’accezione specifica, quando Sanalla “società” ci si potrebbe leggere dietro non solo quella impegnata nella joint venture petrolifera con Eni, ma proprio la società libica intesa come insieme di individui che vivono la stessa regione.

All’inizio di giugno, la Noc aveva anticipato la possibilità che le produzioni potessero contrarsi, se non addirittura iniziare a precipitare a causa della guerra nel Sud di Tripoli, invertendo la tendenza dell’ultimo anno in cui la Libia è riuscita a far crescere l’output petrolifero sopra il milione di barili di petrolio al giorno, aumentando gli utili – che sono una linea economica vitale per tenere in piedi le strutture statali interne.

Già nei giorni scorsi, esattamente domenica 16 giugno, era stato segnalato l’incendio nell’area dove la Noc tiene alcuni serbatoi di Gpl lungo la strada che conduce all’aeroporto internazionale di Tripoli, a sud della città. La zona è un’altra molto calda, dove le milizie tripoline e soprattutto quelle di Misurata intervenute per proteggere il Gna stanno tenendo il fronte – con lente avanzate – agli haftariani. Anche in quel caso, si era parlato di un attacco avvenuto il giorno precedente contro i silos di stoccaggio.

La situazione a livello militare è bloccata, non c’è nessuno dei due fronti in grado di predominare sull’altro, nonostante i rispettivi sponsor esterni abbiano cercato di inviare aiuti fornendo nuovi armamenti (anche tecnologici). E i bombardamenti aerei continuano a essere l’elemento più critico, colpendo spesso strutture civili: anche per questo Formiche.net era stato promotore di un’iniziativa per spingere il governo italiano ad avanzare una richiesta per istituire una no-fly zone a controllo Nato sulla Libia.

Lo stallo ha prodotto vittime e danni e c’è anche dal punto di vista politico, perché nessuna della due parti intende sedersi con l’altra a un potenziale tavolo negoziale. “Troppi morti”, ci dice una fonte dalla Tripolitania, e ora se dovessero iniziare gli attacchi contro le strutture petrolifere la situazione non può che peggiorare.

Domenica il capo del Gna, Fayez Serraj, ha cercato di avviare un’iniziativa politica personale per anticipare l’Onu: a Tripoli vogliono fermare la guerra e accettano di dialogare in qualche modo con la Cirenaica a patto che – dopo il cessate il fuoco – Haftar venga del tutto estromesso dal percorso futuro. Una visione che è molto spinta da Misurata – centro di potere politico e militare dietro a Serraj – e dai miliziani tripolini, che tutti i giorni finiscono sotto le bombe di Haftar, ma che c’è il rischio che qualche cancelleria straniera possa spingere dall’esterno.

 

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