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Perché la Cina non molla la presa su Hong Kong. Parla Sciorati (Ispi)

Allerta rossa a Hong Kong. Per la prima volta nella storia è stato dichiarata l’allarme, dopo l’irruzione da parte dei manifestanti che protestavano alle porte del Parlamento in occasione dell’anniversario della riconsegna della sovranità della regione semiautonoma dal Regno Unito alla Cina nel 1997. Secondo il sito South China Morning Post, l’allerta impone l’evacuazione della zona.

Da sempre, la giornata di oggi è stata caratterizzata da marce in favore dell’unicità e della democrazia di Hong Kong, come ricorda in una conversazione con Formiche.net Giulia Sciorati, assistant research fellow per l’Asia Centrale dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Quest’anno però l’anniversario cade dopo giorni di proteste contro l’emendamento della legge sull’estradizione ed è interpretato come un’ulteriore occasione, per i cittadini di Hong Kong, di opporsi a un governo che, a loro avviso, non fa il loro interesse.

È possibile che il processo per l’approvazione della legge di estradizione sia bloccato definitivamente o si sta solo prendendo tempo per un nuovo voto in un ambiente meno teso?

Per il momento, la questione della legge sull’estradizione sembra rimarrà sospesa. La priorità per il governo di Hong Kong è ora di ritrovare un punto di dialogo con la sua società civile che ha raggiunto livelli di protesta altissimi, i più gravi da quando la città è stata resa alla Cina continentale.

La relazione tra Cina e Hong Kong è molto complessa, a che punto è e quali sono gli aspetti chiave per capirla?

Sicuramente uno dei punti fondamentali riguarda il modo in cui la sovranità di Hong Kong è stata sancita. La sovranità di Hong Kong è infatti stata trasferita dal Regno Unito alla Repubblica popolare cinese nel 1997. I termini concordati tra i due governi includevano una serie di garanzie per il mantenimento dell’autonomia del sistema economico, politico e giuridico di Hong Kong per i successivi 50 anni (fino al 2047). Questa politica è conosciuta come “un paese, due sistemi” e non si applica solo a Hong Kong, ma anche a Macao e, in misura diversa, Taiwan. Non è stato chiarito cosa accadrà dopo il 2047 ed è questo uno degli aspetti centrali dell’opposizione tra Hong Kong e Pechino che teme un’integrazione alla Cina continentale che vada a distruggere completamente quei caratteri che rendono la città unica. Allo stesso tempo, Hong Kong rimane lo specchio per Macao i cui accordi prevedono una scadenza per il 2049. La città rimane quindi terreno di prova per Pechino che, senza un compromesso, rischia un diffondersi dell’instabilità.

Quali sono gli scenari possibili a Hong Kong, anche in vista della fine dell’autonomia prevista per il 2047?

Lo scopo ultimo di Pechino è mantenere la sua integrità territoriale. Pertanto, interpreta le opposizioni politiche a favore della democrazia come sfide dirette al suo partito unico. A causa della sua integrazione internazionale, le proteste di Hong Kong sono ritenute particolarmente minacciose dalla Cina continentale: qualsiasi compromesso potrebbe creare dei precedenti per altre regioni contese come Tibet, Xinjiang, Mongolia interna, Taiwan e Macao. Pechino ha inoltre in corso il progetto della Greater Bay Area, un piano volto ad avvicinare Hong Kong alla provincia del Guangdong in modo da creare una zona economica e finanziaria che sia in grado di rivaleggiare con la baia di San Francisco. Inoltre, collegamenti terrestri sono stati costruiti per meglio connettere Hong Kong alla città di Zhuhai. Tutti questi sforzi riducono già lo status speciale della città prima ancora che l’accordo sull’autonomia si sia esaurito.

C’è rischio di un disequilibrio economico e finanziario (anche globale) con il susseguirsi di manifestazioni e scontri?

Hong Kong è un centro finanziario globale che ha prosperato grazie anche alla sua vicinanza alla seconda economia mondiale. Il settore dei servizi rappresenta oltre il 90% della sua economia. La città si distingue dagli hub finanziari della Cina continentale come Shanghai e Shenzhen grazie a imposte basse, regolamenti meno stringenti e un settore finanziario molto avanzato. Molte delle principali banche e multinazionali del mondo hanno una sede regionale nella città. Nonostante la sua posizione primaria a livello globale, le relazioni commerciali con la Cina sono andate a ledere la sua posizione globale, riducendo di molto il suo impatto a livello mondiale. Per esempio, il suo Pil è diminuito dal 16% di quello cinese nel 1997 al 3% nel 2017. Hong Kong rimane legata a doppio filo a Pechino che è la principale destinazione delle sue esportazioni e rappresenta circa la metà del commercio totale della città per il 2018.

Qual è lo stato della libertà di espressione e di stampa a Hong Kong?

A causa della crescente influenza di Pechino sulla città, la libertà di stampa e espressione a Hong Kong è andata a diminuire negli ultimi anni. L’indice di RSF, per esempio, vede i media perdere 12 posizioni nella classifica globale per la libertà di stampa dal 2013 collocandosi al 70mo posto nel 2018. Occorre sottolineare che i proprietari dei media di Hong Kong hanno anche interessi commerciali nella Cina continentale e fanno parte di organi statali come il Congresso nazionale del popolo. Il South China Morning Post, per esempio, per anni fonte di notizie sulla Cina continentale per i media e gli studiosi occidentali è dal 2016 sotto il controllo del gruppo Alibaba.

Infine, quale potrebbe essere il ruolo della comunità internazionale nel caso di Hong Kong?

Certamente un tentativo di coinvolgere la comunità internazionale c’è stato. Il 26 giugno i manifestanti hanno inneggiato a un intervento statunitense per la salvaguardia dello stato democratico di Hong Kong e un nutrito gruppo di manifestanti si è recato alle porte del G20 allo stesso scopo. Tuttavia, Hong Kong è stata impiegata più come pedina in un più vasto scenario di opposizione tra Cina e Stati Uniti che come fulcro di una questione più ampia che riguarda il futuro di un centro che di fatto è stato negoziato in un dialogo tra terzi. La comunità internazionale può ora spingere la Cina continentale a proporre un piano operativo per il futuro di Hong Kong dopo il 2047 e proporsi attivamente come osservatore della presenza cinese nella città (visti gli interessi economici e finanziari di tutte le parti coinvolte). L’equilibrio più difficile rimane per Pechino che si trova a dover far fronte a prospettive più ampie per la propria stabilità interna che coinvolgono anche altre zone speciali come Macao.

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