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Mogadiscio, i militari italiani e le debolezze somale. Il punto del generale Bertolini

È da escludere l’ipotesi secondo cui l’Italia possa essere un obiettivo del terrorismo in Somalia, ma la situazione nel Paese resta complessa, tra l’altro in un’area, quella del Corno d’Africa, dal grande valore strategico. Parola del generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi) e della Brigata Folgore, con un’esperienza in Somalia tra il 1992 e il 1993 in qualità di comandante dell’allora 9º Battaglione d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. Formiche.net lo ha raggiunto per capire cosa succede in casi come questo, ma anche per comprendere meglio la situazione nel Paese. Intanto, dal ministro Lorenzo Guerini sono arrivati “sostegno e vicinanza a tutto il personale italiano che opera nell’ambito della missione europea”. Emanuela Del Re, vice ministro degli Esteri, ha espresso “forte preoccupazione” per l’accaduto, sottolineando che i soldati italiani presenti (circa 120, con venti mezzi terrestri) “onorano i valori dell’Italia e sono al fianco della Somalia per la pace e la stabilità nel Paese”. Gianluca Rizzo, presidente della Commissione Difesa della Camera ha notato che “è sicuramente merito della grande preparazione e concentrazione ai compiti assegnati all’Esercito che nessuno dei nostri sia stato ferito”.

COSA SUCCEDE SUL CAMPO

Nel dettaglio, due veicoli militari Lince sono stati coinvolti questa mattina da un’esplosione al rientro da un’attività addestrativa a favore delle Forze di sicurezza somale. Parallelamente, come riporta Reuters, a circa cento chilometri da Mogadiscio, un attacco bomba colpiva la base militare americana di Baledogle usata per i droni, seguito, secondo le stesse fonti, da uno scontro a fuoco. L’organizzazione terroristica al Shabaab avrebbe rivendicato l’attacco. Per quanto riguarda l’esplosione che ha coinvolto il convoglio italiano, fanno sapere dallo Stato maggiore della Difesa, al momento non si registrano conseguenze per il personale, mentre le cause dell’esplosione sono in corso di accertamento (secondo la stessa Reuters si è trattato di un’auto-bomba). Il sito somalo Garowe riporta un bilancio di un morto e due feriti, ma non tra gli italiani. Ma cosa succede sul campo in situazioni come questa? “Innanzitutto – ci ha spiegato il generale Bertolini – bisogna accertarsi delle conseguenze che ci sono state per il convoglio; se i mezzi non risultano più in condizione di muoversi, e se la situazione lo consente, si organizza un presidio sul posto in attesa di recuperare il tutto; altrimenti, ci si ritira”. In ogni caso, ha aggiunto, “visto che la missione è addestrativa e non operativa, sicuramente non si predispone un rastrellamento dell’area, cosa che sarebbe avvenuta in altre occasioni, in Afghanistan o in Somalia quando, trent’anni fa, eravamo lì con la missione Ibis”.

UNA SITUAZIONE COMPLICATA

Già a ottobre dello scorso anno, sempre a Mogadiscio, un Lince italiano era stato coinvolto in un’esplosione, senza far registrare ferimenti se non lievi danneggiamenti al mezzo. Eppure, è da escludere una particolare esposizione dei militari italiani ad attacchi di ogni tipo: “Lo siamo sicuramente meno degli altri contingenti stranieri presenti nel Paese”. Difatti, ha rimarcato Bertolini, “la nostra presenza è limitata all’aeroporto di Mogadiscio, con sortite di convogli dall’area sicura, in cui si colloca l’intero contingente internazionale ad eccezione dei turchi e degli emiratini, solo quando è necessario”. Inoltre, “siamo in Somalia ormai da diversi anni, e per quello che ho visto c’è sempre stato un atteggiamento amichevole nei confronti degli italiani da parte della popolazione e delle autorità”. Certo, “occorre sempre tenere a mente – ha spiegato il generale – che siamo in un’area in cui c’è opposizione armata, manifestata anche con azioni pericolose, al governo centrale, e dunque anche a chi lo appoggia come noi”.

UNA SITUAZIONE COMPLESSA

Difatti, la situazione resta complessa. “Potremmo parlare di varie somalie – ha notato Bertolini – visto che la situazione nel Paese non è uniforme”. Se la regione nord-orientale del Puntland “è tutto sommato sotto controllo”, altre aree risultano “nelle mani di milizie”, e altre ancora sono presidiate “dalle truppe che partecipano alla missione dell’Unione africana”, per quanto “ciascuna di esse risponda per lo più a interessi dei rispettivi Paesi. C’è poi “l’area di Chisimaio, verso il Kenya, teatro di combattimenti importanti”, mentre “Mogadiscio resta un capitolo a parte”.

LA MINACCIA JIHADISTA

Il contesto appare insomma particolarmente instabile, condizione ideale per l’azione delle forze jihadiste. “A fronte della debolezza del governo centrale – ha ricordato l’ex comandante del Coi – ci sono attori mortiferi che cercano di ricavarsi spazi”. E così, “al Qaeda prima, e l’Isis poi, si sono radicati in alcune aree del Paese; al Shabaab, nata con affiliazione qaedista, ha poi virato verso l’Isis”. Una situazione “delicata che in parte avremmo potuto prevenire se, trent’anni fa, avessimo insistito come comunità internazionale con la missione Unosom, Ibis per noi italiani”. Così non è stato, e il risultato è “che abbiamo abbandonato la Somalia a se stessa, priva di un esercito e di forze di polizia credibili, facile preda del terrorismo”. Tali difficoltà persistono oggi. “L’Esercito somalo è senza mezzi e deve contare sui militari dell’Unione africana; i feriti spesso muoiono perché non c’è un’organizzazione sanitaria che li curi, mentre il governo ha difficoltà a manovrare le forze e fornirgli supporto”. A parte alcuni veicoli, “non gli abbiamo dato armi e munizioni, a causa dell’ipocrita tendenza a considerare tali strumenti quale male assoluto; il risultato è che li abbiamo lasciati disarmati”.

LA RILEVANZA STRATEGICA

Da qui deriva l’importanza della missione addestrativa europea Eutm Somalia, all’interno della quale si inserisce l’attuale impegno italiano. D’altronde, l’area appare strategica, e lo hanno dimostrato le diverse visite di alti funzionari italiani in tutto il Corno d’Africa, compresa quella del premier Giuseppe Conte in Etiopia ed Eritrea a ottobre dello scorso anno, da sommari ai vari incontri governativi incrociati. “La regione – ha notato Bertolini – ha un’elevata rilevanza strategica; da lì si controllano le rotte che dall’Oceano indiano portano al Mar Rosso e, attraverso il canale di Suez, al Mediterraneo”. Per questo, “avere una Somalia amica e stabile sarebbe per noi importantissimo”. Poi, ci sono “gli elementi di carattere storico: è uno dei pochi Paesi in cui la classe dirigente parla ancora in larga misura l’italiano e si considera vicina alla nostra cultura”. Tuttavia, ha detto concludendo il generale, “non si possono accontentare di una generica solidarietà internazionale; hanno bisogno di aiuti e di sicurezza, di mezzi e di supporto politico importante”.

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