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A scuola di export della Difesa. Ci pensa il Pentagono. Ecco come

Nasce la Defense Security Cooperation University, il nuovo centro del Pentagono americano che formerà i professionisti della cooperazione alla sicurezza. Obiettivo? Assistere alleati e partner, ma anche sostenere l’export di materiale d’armamento made in Usa attraverso nuovi esperti della negoziazione. Non a caso, il sito specializzato DefenseNews parla di “una nuova scuola che potrebbe cambiare le vendite di armi americane all’estero”.

UNA SCUOLA PER LA DIFESA

Il taglio del nastro è avvenuto la scorsa settimana al Pentagono, con il sottosegretario alla Difesa John Rood, il capo della Defense security cooperation agency (Dsca) Charles Hooper e la preside della nuova Università Cara Abercrombie. L’idea era stata lanciata dal generale Hooper a ottobre del 2017, innescando un dibattito su funzioni e obiettivi che è confluito nella struttura odierna, almeno per adesso esclusivamente virtuale. In sintesi, si tratta di formare “professionalità con un nuovo curriculum che serviranno come forte fondamento della nostra cooperazione alla sicurezza”, ha spiegato all’inaugurazione della scuola il numero uno della Dsca, l’agenzia del Pentagono che segue i progetti di security assistance all’estero e che gestisce l’esecuzione finanziaria dei Foreign military sales, le vendite di armi ai Paesi stranieri. La scuola si rivolge all’intero personale del Pentagono, alla ricerca di nuove professionalità in grado di muoversi trasversalmente tra politica estera, teoria della negoziazione, project management e pratiche esportative.

DALLA SICUREZZA ALL’EXPORT MILITARE

D’altra parte, gli Stati Uniti sono l’esempio più evidente di una gestione delle politiche di export come parte della politica di difesa, a sua volta tra i pilastri della politica estera e della proiezione globale del Paese. “Se davvero vogliamo cambiare il modo in cui il dipartimento gestisce la cooperazione alla sicurezza – ha detto l’Abercrombie aprendo i battenti – dobbiamo essere sicuri che ognuno abbia almeno una comprensione basica del quadro d’insieme, di come ciò si lega alla National defense strategy”, il primo documento strategico rilasciato dall’amministrazione Trump a dicembre del 2017. La parola d’ordine, impressa dallo stesso presidente al sistema della Difesa americana, è “velocità”. Per l’export, si tratta di rendere le pratiche più rapide, abbattendo lentezze burocratiche e agevolando le fasi di negoziazione.

UN OBIETTIVO AMBIZIOSO

Per questo, la Scuola formerà il personale del Pentagono che si occuperà dei progetti di cooperazione alla sicurezza, dotandoli delle strumenti idonei a dialogare con i partner sui vari dossier, compresi quelli relativi all’acquisto di armi. L’obiettivo è “estremamente ambizioso”, sia perché i programmi di studio sono ancora in fase di definizione, sia considerando la “priorità” enunciata dalla Abercrombie riguarda la formazione di circa 20mila unità del servizio attivo del Pentagono, entro il 2022, a “un nuovo standard minimo” sui temi della security cooperation. Proprio tale priorità ha fatto pendere la bilancia verso una formazione online, attraverso corsi registrati e una struttura snella che punta prima di tutto a certificare gli operatori di Foreign securtiy. Da notare che gli Usa sono da sempre attenti alla formazione nel campo della Difesa, a partire dal riferimento che il sistema ha nella National Defense University di Washington, istituita nel 1976 ma basata su una tradizione che risale almeno al 1924, quando nacque l’Army Industrial College.

L’IMPORTANZA DI SAPER NEGOZIARE

Ora, con la nuova Scuola del Pentagono, si vuole fare in modo che gli operatori a stelle e strisce, dai piloti ai marinai, abbiamo “una consapevolezza basica” sul contesto in cui operano, sulle differenze culturali, sulle pratiche del Paese in cui agiscono e sugli interessi americani. “Ogni americano impegnato in tale impresa si trova di fronte una controparte straniera per discutere i termini di una vendita militare o per chiedere assistenza”, ha notato la preside della University. “Capire l’approccio americano e di altre culture alla negoziazione – ha aggiunto – aiuterà le trattative, soprattutto se si ha di fronte nuovi clienti che non hanno mai acquistato armi”.

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