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A che punto è la crisi siriana. Le conseguenze del conflitto nel report Cesi

La guerra in Siria continua. A più di otto anni dall’inizio del conflitto, la situazione è ancora più instabile e rischiosa. Non solo per il popolo siriano, ma per tutta la regione. Nonostante il consolidamento del potere di Bashar al-Assad, grazie all’intervento russo nel 2015, e le vittorie nella battaglia contro lo Stato Islamico, la crisi siriana è ben lontana dall’essere risolta. In più, si trova in mezzo a scontri e divergenze tra differenti potenze globali.

Per analizzare la portata della situazione, l’Osservatorio di politica internazionale, progetto di collaborazione tra Senato della Repubblica, Camera dei Deputati e ministero degli Affari esteri, ha elaborato un approfondimento, a cura del Centro di Studi Internazionali, intitolato “L’evoluzione della crisi siriana tra instabilità interna e competizione regionale”.

Nel report si legge che il “rafforzamento del fronte lealista (Russia, Iran, Hezbollah) ha certamente modificato le coordinate della competizione regionale che si svolge in Siria, al punto che oggi non è più messa in discussione la permanenza al potere del presidente Bashar al-Assad”. Tuttavia, questo sviluppo non ha impedito che la crisi in Siria resti un motivo per potenziali scontri in Medio Oriente. Con implicazioni su protagonisti esterni come Russia, Iran, Turchia, Israele e Stati Uniti.

I fatti di ottobre, cioè, la decisione del governo di Donald Trump di smarcarsi, e l’avanzata della Turchia di Erdogan, hanno aumentato le tensioni sulla Siria. “Fino ad allora, infatti, – si legge nell’approfondimento – la Siria era stata nettamente spaccata in due aree distinte, separate dal fiume Eufrate. L’ovest era quasi integralmente sotto il controllo di Damasco e dei suoi alleati, con l’eccezione dell’estremo nord-ovest del Paese, cioè la provincia di Idlib, in cui sono ancora oggi asserragliati i principali gruppi ribelli rimasti, tra i quali diverse formazioni jihadiste”. Ulteriormente, una striscia di territorio lungo il confine con la Turchia era occupata da truppe di Ankara, mentre l’est della Siria, invece, restava completamente al di fuori del controllo di Damasco.

Secondo il Cesi, l’impatto della scelta di Washington nelle dinamiche del conflitto siriano e le prospettive di stabilità del Paese è stato importante: “La rimodulazione della presenza americana ha creato degli spazi maggiori per la Russia e la Turchia, che hanno prontamente approfittato del vuoto creatosi per rafforzare le rispettive posizioni”. Ma, soprattutto, il disimpegno americano ha consegnato a russi e turchi incentivi più significativi per collaborare sulla Siria.

“Il disimpegno americano – conclude il report – sta rappresentando una potenziale via d’uscita, perché permette a Mosca per la prima volta di legare i due dossier, e quindi di spingere Ankara ad ammorbidire le sue posizioni sul futuro del nord-ovest siriano e del fronte di opposizione in cambio di garanzie che la proteggano dalla minaccia di un’autonomia curda a ridosso dei suoi confini”.

Per la Russia, un dialogo più approfondito con la Turchia permette di stabilizzare l’ultima porzione di territorio siriano ancora fuori dal controllo di Mosca (e di Damasco): “Si tratta di un obiettivo strategico per un Paese, la Russia, che ha investito notevoli risorse intervenendo direttamente nel 2015 e che è intenzionato a ridurre il più in fretta possibile la propria presenza sul campo e a far ripartire l’economia siriana per poter finalmente cessare l’invio di aiuti a Damasco”.

La Turchia, invece, legge il distacco degli Stati Uniti “come un’opportunità preziosa per risolvere a suo vantaggio la questione curda, per lo meno in Siria. Infatti, Washington non ha soltanto rimodulato la sua presenza, ma ha soprattutto privato i curdi di quella solida copertura politica che, dal 2014 fino allo scorso ottobre, li aveva tenuti al riparo da incursioni turche e aveva permesso loro di dotarsi d’istituzioni autonome da Damasco, accarezzando l’idea di realizzare un’entità indipendente o con ampi margini di autonomia dalle istituzioni centrali siriane”.

“Per quanto la leadership curda continui a cercare di rianimare il rapporto con gli Usa – sostiene il report – il futuro dell’est siriano ormai non è più totalmente in mano a Washington ma dovrà necessariamente passare anche da Mosca. La Turchia vede nel dialogo con la Russia sulla questione curda un canale ben più promettente di quello avuto finora con gli Stati Uniti, dove l’inconciliabilità delle rispettive posizioni determinava uno sterile gioco a somma zero e un costante aumento delle tensioni tra i due alleati Nato”.

Gli Usa, dunque, si trovano con un livello di influenza sul dossier siriano molto inferiore rispetto a ottobre. “La decisione dell’amministrazione Trump ha indebolito la posizione americana in Siria e nel Levante – conclude il Cesi -. […] Se dovesse proseguire nei termini attuali, questo scollamento potrebbe portare a un’ulteriore rimodulazione degli obiettivi del contingente americano in Siria già nel prossimo futuro”.

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