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Cina, Usa e Ue. L’equilibrio globale oltre il Covid-19

Di Francesco Barbaro

La pandemia di Covid-19 sta producendo impatti sensibili sulla sicurezza globale, sugli equilibri geopolitici e sugli interessi nazionali. L’intelligibilità di questi è limitata dalla loro appartenenza ad un sistema complesso, all’interno del quale si sviluppano secondo dinamiche dal carattere caotico.

Fino a febbraio la Cina era un Paese solo e ripiegato sulla sua emergenza, un mese dopo si è presentata come modello della gestione della crisi e attualmente si propone come principale fornitore di mezzi e tecnologie per la sanità. Da marzo il virus si è diffuso in Europa, l’Italia è il secondo centro di diffusione globale: il fermo delle attività economiche preannunciano una recessione di fronte alla quale l’Unione è costretta a mettere in discussione il dogma dell’austerità finanziaria.

Dopo avere minimizzato il rischio, gli Usa diventano il terzo epicentro pandemico e si trovano forzati da un lato ad abbandonare il paradigma liberista per attuare il più ingente piano di sostegno dello Stato all’economia nella Storia, dall’altro ad allentare la tendenza isolazionista per mantenere la loro influenza di prima potenza mondiale. I tre casi di studio esplicano la natura caotica dei mutamenti in atto e la conseguente difficoltà di predire gli sviluppi futuri basandosi su semplici estrapolazioni. Tuttavia, al loro interno è possibile individuare altrettante variabili che forniscono delle chiavi potenzialmente utili a ridurre la complessità e a tracciare degli scenari per la sicurezza globale e le strategie nazionali.

LA LEGITTIMAZIONE DELLA PENETRAZIONE CINESE

Al di là della responsabilità di avere coperto e alterato informazioni di importanza essenziale per la sicurezza globale, la Cina ha valorizzato la dimensione temporale e reso un vantaggio l’essere stata colpita dal virus per prima. Nel momento in cui ha superato il picco dei contagi, gli altri Paesi stavano ancora cominciando ad essere investiti dall’emergenza. Sulla base delle utenze telefoniche dismesse e delle file per il ritiro delle salme, è ragionevole supporre che il numero delle vittime sia di molto superiore a quello ufficiale.

Tuttavia, il controllo sulla popolazione, sul tessuto produttivo e sull’informazione ha consentito alla Repubblica popolare di presentarsi come il Paese-guida che ha sempre avuto l’ambizione di essere: innanzitutto promuovendo il “modello Wuhan”, in secondo luogo riconvertendo le industrie ad alta tecnologia per la produzione di beni per il settore sanitario. In questo modo, la Cina ha potuto offrirsi ai Paesi successivamente colpiti come il principale esportatore di mezzi e tecnologie ad hoc. Che le forniture abbiano dietro degli interessi è un fatto scontato e fisiologico, in un sistema internazionale in cui non esistono amici e nemici ma attori che sono tra loro alleati e rivali, al tempo stesso, su fronti diversi.

La pubblicistica ha ipotizzato una condizionalità sull’accesso di Huawei ai mercati locali del 5G, che nella sua forma più diretta appare troppo grezza per non finire svelata. Piuttosto, la delegazione di medici e scienziati inviata da Pechino ha ricevuto una visibilità istituzionale che, amplificata da operazioni di manipolazione informativa, le ha conferito la credibilità e l’autorevolezza per proporre l’adozione di un sistema di gestione dei dati in cloud prodotta proprio da Huawei. Analisti e commentatori si sono soffermati sulla minaccia alla confidenzialità dei dati sanitari – che certamente sussiste come per le comunicazioni nel 5G – ma il reale valore strategico della proposta risiede in quella che costituisce una delle principali variabili in gioco: la penetrazione tecnologico-finanziaria della Cina in Europa, un fattore strutturale legittimato a livello congiunturale con l’argomento della funzionalità nell’emergenza.

LA DIFESA DEL PRIMATO STATUNITENSE

Gli Stati Uniti si scoprono terzo epicentro della pandemia e ciò li mette in una condizione di ritardo nell’evoluzione asincrona della vicenda globale. Lo svantaggio è accentuato dall’inerzia del presidente Trump, che ha sottovalutato a lungo l’impatto del virus pur di mantenere a pieno regime la produttività interna del sistema americano. L’intento era quello di approfittare della crisi cinese per fare un balzo in avanti, il rischio è quello di fare un balzo indietro con un aumento dei tempi di ripresa.

Per contro, un punto di forza è insito nel meccanismo federale della costituzione degli Usa: le amministrazioni locali possono muoversi autonomamente, realizzando a loro volta un’asincronia nella geografia dei blocchi alle attività produttive. I danni previsti sono comunque così alti che Trump ha dovuto interiorizzare la necessità di oltrepassare i confini stabiliti dall’ideologia neoliberista per firmare un piano finanziario statale da due trilioni di dollari. L’intervento è tanto più necessario in quanto l’economia statunitense resta il motore di quella globale, e i segni di suscettibilità mostrati dal dollaro e dai buoni del tesoro americano ammoniscono sui rischi di “contagio” di una sua eventuale crisi profonda. Questo non basta ad una reinterpretazione positiva dell’”America first”, sopratutto in Europa dove ha avuto effettivamente diffusione la percezione di una mancanza di aiuto da parte dell’alleato atlantico. Tale rappresentazione non è solo il risultato per contrasto della forte mediatizzazione degli ausili cinesi, ma anche delle operazioni di manipolazione dell’informazione riconducibili al governo di Pechino.

Ai Paesi europei non è mancato il sostegno di Washington, ma esso è stato finora più discreto in quanto operante a livello dei collegamenti tra i comparti di sicurezza alleati, anche se in futuro potrebbe essere maggiormente pubblicizzato per contrastare la narrativa antagonista. Lo stesso tentativo di confermare l’operazione Defender Europe 2020, nell’attuale frangente, è stato significativo. Gli USA sono costantemente bersaglio di una guerra asimmetrica e ibrida, motivata dal loro status di prima potenza mondiale. Il mantenimento del primato tecnologico-finanziario è quindi una variabile decisiva, nella prospettiva dello scontro tra Cina e Stati Uniti: se la prima si lancia nelle forniture mediche, i secondi puntano sulla vittoria nella corsa al vaccino.

L’UE AL BIVIO TRA SALTO EVOLUTIVO E DISINTEGRAZIONE

Il Covid-19 guadagna terreno in Europa, con punte di emergenza in Spagna, Francia e Regno Unito – mentre i criteri statistici della Germania orientano i numeri al ribasso. Ma il Paese più afflitto rimane ancora quello in cui virus è dilagato per primo: dalla seconda decade di marzo l’Italia è un’unica zona rossa, con un blocco generale degli spostamenti non necessari e delle attività non essenziali. I divieti e le restrizioni, seguiti con ritardo e recalcitranza dagli altri Stati colpiti, non sono immuni da gravi effetti collaterali: l’arresto della produttività e degli affari ha già avuto marcate ripercussioni sui mercati e lascia scorgere i prodromi di una crisi economica, a sua volta pandemica, che potrebbe rivelarsi più drammatica di quella degli ultimi anni.

L’Unione europea ne è consapevole, ma le sue prime risposte riflettono la consueta incongruenza tra le sue istituzioni federali e quelle intergovernative. Per quanto riguarda le prime, a parte certe ambiguità nella comunicazione, Commissione e Banca centrale europea (Bce) sono state discretamente reattive annunciando una serie di provvedimenti: la sospensione delle regole di bilancio del Patto di Stabilità e Crescita (PSC); lo sblocco di fondi non utilizzati; il ricorso alle linee di credito previste dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). L’ultimo è un punto sul quale si dividono invece le istituzioni intergovernative, a cominciare dal Consiglio dell’Unione Europea. I fondi del MES sono erogati di norma con una condizionalità relativa all’attuazione di riforme nazionali in direzione dell’austerità fiscale e di bilancio: l’Italia e altri Paesi con l’aggiunta della Francia – anch’essa colpita dal Covid-19 – vorrebbero una rimozione di tale condizionalità, perché l’emergenza attuale richiede al contrario forti spese a debito per sostenere aziende e cittadini; la Germania schiera per procura gli altri Paesi “parsimoniosi”, dall’Austria alla Finlandia passando per l’Olanda, con lo scopo di mantenere i vincoli sugli Stati “dissipatori”.

La contrapposizione si inasprisce sulla questione degli eurobond: lo strumento di debito condiviso della zona euro era stato ipotizzato già nella crisi dei debiti sovrani del 2011, ma nella sua posizione di egemonia la Germania ha fin qui imposto all’Europa la sua refrattarietà storica al debito e al rischio inflazionistico. La variabile fondamentale è compresa quindi tra gli estremi di un salto evolutivo dell’integrazione europea e una frattura che potrebbe portare alla sua disintegrazione.

GLI SCENARI E LE PERTURBAZIONI

La legittimazione della penetrazione cinese e la difesa del primato statunitense costituiscono due poli che delimitano un unico spettro continuo di possibilità all’interno dello scontro tra Stati Uniti e Repubblica Popolare. Nel processo analitico, dunque, esse possono essere aggregate per comporre una variabile di sintesi che descrive il potenziale di uno slittamento del baricentro tecnologico-finanziario tra le due potenze rivali. Quest’ultima può essere così incrociata con la variabile relativa alla capacità dell’Ue di compiere un approfondimento nell’integrazione delle politiche economiche e strategiche.

Ciò permette la formulazione di alcuni possibili scenari internazionali in un orizzonte temporale di medio periodo, tra tre e cinque anni. Una prima ipotesi è che l’Unione Europea sappia interpretare la crisi del Covid-19 come un momento di “tracimazione” (spill over) funzionale e riesca a compiere un salto evolutivo, con politiche di bilancio e di sviluppo solidali e leali, e potenziando e proteggendo le proprie infrastrutture critiche. In questo caso non solo potrebbe mitigare gli impatti della futura depressione, ma sarebbe in grado di modulare autonomamente ed efficacemente gli interessi comuni, trovando un punto di equilibrio tra il rafforzamento della storica alleanza con gli Usa e l’ottimizzazione dei rapporti economico-commerciali con la Cina. Le due potenze sarebbero quindi indotte, per competizione, ad alzare il livello delle loro offerte. Se invece prevarrà la frattura tra i Paesi “parsimoniosi” e quelli “dissipatori”, sarà molto difficile finanziare adeguatamente le politiche necessarie a contrastare la recessione, e la tenuta stessa dell’Europa sarà a rischio. Si apriranno ampi spazi per le operazioni di influenza delle potenze extracomunitarie, tese a creare dinamiche di dipendenza nei propri confronti.

La competizione tra Washington e Pechino potrà condurre ad un acuirsi delle tensioni, ma verosimilmente lo scontro sarà sublimato nei terreni operativi dell’intelligence e della guerra ibrida. Particolare rilievo avranno l’information e il cyberwarfare, che in un frangente di crisi “fisica” costituiscono la linea di minima resistenza. Sebbene le allerte degli ultimi giorni abbiano preso in considerazione esclusivamente il cybercrime, colpire dati e comunicazioni creando un bisogno tecnologico o sabotare un prodotto del Paese rivale possono diventare le armi di una guerra cibernetica. D’altro canto, la stessa caoticità delle dinamiche internazionali è per sua natura estremamente sensibile agli sconvolgimenti di fattori di perturbazione. La Russia continua ad avere interessi regionali che si incrociano con quelli della Turchia in Siria e in Libia, così come in Iraq e in Afghanistan qualcuno potrebbe essere tentato di approfittare di un calo dell’attenzione degli Usa. L’antica saggezza cinese ci dice: “Grande è il disordine sotto il cielo, la situazione è eccellente”.

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