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Ecco come il coronavirus cambia la sicurezza nazionale. Parla Greenberg (Fordham)

La Cina è diventata la priorità bipartisan al Congresso di Washington quando si parla di politica estera. È il risultato della pandemia che vede gli Stati Uniti primo Paese al mondo per contagi e vittime. Anche il ripensamento dei confini della sicurezza nazionale sono il frutto del coronavirus. Di questo Formiche.net ha discusso con Karen J. Greenberg, esperta di sicurezza nazionale, terrorismi e libertà civili, direttore del Center on National Security alla Fordham University di New York City, curatrice del volume Reimagining the National Security State: liberalism on the brink (Cambridge University Press).

Questa pandemia sta cambiando i rapporti tra Stati Uniti e Cina? 

Da una parte sta ridisegnando il rapporto, dall’altra sta intensificando dinamiche già emerse. Pensiamo al conflitto economico ma anche allo scontro per l’influenza e gli interessi, soprattutto in Europa. Nel prossimo futuro sarà importante trovare un modo, per il mondo, per gli Stati Uniti e per la Cina, per evitare uno scontro, che non gioverebbe a nessuno. Staremo a vedere se in nome della pandemia ci potranno essere maggiore cooperazione e maggiore collaborazione lasciando da parte questo conflitto aspro.

Come uscirne?

Stati Uniti e Cina dovrebbe riconoscere gli sforzi dell’altro per aiutare l’Europa e partire da qui per non farsi la guerra. Ci sono due temi. Uno per il presente, cioè la lotta al coronavirus. Uno per il lungo periodo, cioè la strategia per rispondere alla questione economica tra i due Paesi. Il punto di partenza è ricostruire un rapporto di fiducia e servirà un grande lavoro diplomatico per far realizzare alle due leadership quanto sia distruttiva la natura di questo scontro. Non solo per le rispettive economie ma anche per il mondo intero.

L’Europa si candida a essere il terreno di scontro tra le due superpotenze.

Sulla scia del coronavirus è e sarà il centro dello scontro. Lo vediamo con gli sforzi diplomatici ed economici di questa fase. In particolare quelli della Cina che aiuta i Paesi europei che si dimostrano a lei più fedele. E penso che sfruttare la pandemia come modo per rafforzare economicamente il proprio Paese senza pensare alle implicazioni per la salute pubblica mondiale sia la ricetta perfetta per il disastro.

Come valuta la decisione del presidente statunitense Donald Trump di tagliare i fondi all’Organizzazione mondiale della sanità?

Oh my goodness. Prima di tutto, lui ha preso questa decisione ma non sappiamo ancora se sarà effettiva. Penso che sia una mossa disastrosa perché quando parliamo di competizione tra superpotenze uno dei temi è la capacità di guidare il mondo rispettando i diritti umani e lo stato di diritto, come gli Stati Uniti hanno sempre fatto. Questa mossa, in questo momento, serve a distrarre nel nome di un principio piuttosto che nel merito del caso. È una fase in cui il mondo è in crisi, l’Organizzazione mondiali della sanità necessita del massimo degli sforzi e bisogna presta attenzione al lavoro da fare più che alla politica e alla tattica. Per questo mi auguro che il presidente torni sui suoi passi. 

È una mossa elettorale in vista della sfida presidenziale contro il democratico Joe Biden?

Sì, ma non penso sia soltanto una mossa elettorale rivolta alla sua base. Penso che sia in linea con l’agenda America First del presidente che prevede un passo indietro dal palcoscenico globale e un maggiore isolazionismo. Tuttavia, vorrei sottolineare che a un crescente isolazionismo statunitense corrispondono vuoti che la Cina potrà riempire.

Ma l’isolazionismo e lo strapotere cinese nelle agenzie delle Nazioni Unite, solo per citare un caso, sono in conflitto?

Penso che l’agenda America First e gli sforzi per fronteggiare l’influenza cinese alle Nazioni Unite non si escludano a vicenda ma anzi possano convergere nell’azione del presidente Trump. Ma non penso che questa amministrazione abbia ancora ben chiari i dettagli di come ridisegnare il multilateralismo.

Anche i democratici al Congresso sembrano essere ormai più preoccupati dall’offensiva cinese piuttosto che da quella russa. Che cosa potrebbe cambiare con Joe Biden presidente?

Sì, in questo momento gli interessi economici del Paese sono tutti concentrati sulla Cina. Penso che Joe Biden alla Casa Bianca cercherebbe di evitare nuovi scontri ma riproporrebbe anche gli Stati Uniti come difensori dello stato di diritto e dei principi democratici nel mondo. Il tutto utilizzando la diplomazia, diversamente da quanto fatto in questi anni da Trump, che ha preferito far leva sulle minacce economiche. Inoltre, sono convinta che questo scaricabarile tra Stati Uniti e Cina non sarebbe la prima preoccupazione di Joe Biden presidente parlando di Cina: lo sarebbe la salute pubblica e la cooperazione per affrontare sfide globali simili.

Questa pandemia sta riscrivendo i confini della sicurezza nazionale?

Penso che questa pandemia abbia dimostrato come, a livello nazionale come a livello globale, la sicurezza dei cittadini non dipenda soltanto dalla lotta all’estremismo per esempio ma anche dalle politiche per la salute pubblica. La lotta all’estremismo e le violenze tra Stati in Medio Oriente hanno per anni contraddistinto l’agenda per la sicurezza dei Paesi occidentali. Per molto tempo temi come la salute pubblica, i cambiamenti climatici e l’economia sono rimasti totalmente esclusi dal dibattito sulla sicurezza nazionale. Ma ora si stanno dimostrando fondamentali tanto quanto la lotta al terrorismo. E necessitano di una risposta coordinata.

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