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Phisikk du role – Giustizia va cercando che sì cara…

Quando si dice l’antiquariato. Ci pensiamo qualche volta a quando risalgono le norme che regolano l’ordinamento giudiziario in Italia? Parliamo del Regio Decreto del 30 gennaio 1941, n.12. Un impianto generale, dunque, partorito con intima coerenza scientifica – non c’è che dire – quasi 80 anni fa, ma in un contesto che non conosceva la Costituzione democratica, intimamente attraversata da coerente spirito antifascista. Certo quell’insieme di norme non è rimasto fermo al ‘41, poiché nel corso del tempo si sono portate piccole “novelle” e riforme anche più vaste, operando con modalità di adattamento, dettate dai principi costituzionali, che non sono sconosciute al nostro ordinamento giuridico. Ma non si può dire che quel corpus normativo non rappresenti un prodotto polveroso, peraltro costruito con la tecnica del patchwork.
Riforma della giustizia? Riforma del Csm? Riforma del processi? Riforma dei Tribunali? Da quando (era il 2005) il Guardasigilli è obbligato a “rendere comunicazione “ al Parlamento sull’Amministrazione della Giustizia nel l’Anno Giudiziario precedente “nonché sugli interventi da adottare ai sensi dell’art.110 della Costituzione“, anneghiamo in paginate – erano 284 quelle riferite all’anno 2019 –  di contabilità minute di prolassi temporali dei processi infiniti e pendenti, di detenuti in attesa di giudizio, di tribunali tenuti in piedi con lo sputo, di carenza di personale e di cancelleria, non nel senso dell’ufficio ausiliario del giudice, ma intesa come carta, pennarelli e toner. Il tutto condito con insistita descrizione delle più ambiziose aspirazioni riformistiche.
Che cosa sta succedendo, dunque, adesso? Quello che noi tutti in qualche modo figli di Charles-Louis de Secondat, meglio noto come barone di Montesquieu, abbiamo conosciuto come il caposaldo della democrazia liberale, vale a dire il principio della ripartizione del potere stuatuale nelle tre fondamentali funzioni articolate in Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, sta andando in cortocircuito, scivolando verso la crisi sistemica. La crisi dell’ordine giudiziario, cronicizzata nel corso di lunghi anni, si rende manifesta al grande pubblico forse adesso attraverso il caso Csm, ma si allinea alla crisi del Parlamento, impotente e incerto nel suo ruolo, e nella difficile ricognizione sul ruolo del potere Esecutivo, che riesce ad essere al tempo stesso troppo largo e troppo fragile, almeno quanto fragile e inconsistente è la politica.
C’è bisogno di riformare il Csm? Certo, ma c’è bisogno di molto di più: una riforma dell’Ordinamento Giudiziario che la politica deve costruire non “a prescindere” ma “insieme” a chi esercita la giurisdizione. Il che significa non solo magistrati, ma anche avvocati, che spesso dimentichiamo essere parte attiva nel sistema, al pari di chi esercita la funzione del giudicare. Subito, allora un tavolo di lavoro per disegnare riforme condivise, anche rompendo qualche tabù. Per esempio sull’antica querelle legata alla separazione delle carriere. Perché non pensare, invece, all’unificazione delle carriere di avvocato e di magistrato? Pescare nello stesso cesto, come avviene in altri ordinamenti, gioverebbe alla giurisdizione.
Ma bisogna far presto: nella crisi di sistema se collassa la giustizia, se il popolo sovrano la percepisce come malata, lo Stato collassa con lei.
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