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La caccia al tesoro di Maduro (che porta l’Inghilterra in tribunale)

Il regime di Nicolás Maduro è disperatamente a caccia di denaro, ovunque. Il piano più recente è quello di recuperare circa 1 miliardo di dollari in lingotti d’oro depositati nella Banca d’Inghilterra. Questo deposito appartiene alle riserve internazionali del Paese sudamericano, accumulati negli anni.

La richiesta è stata comunicata il 14 maggio, poche settimane dopo il tentativo (senza successo) di Maduro di vendere parte di quei lingotti d’oro per trasferire il denaro al Programma di Unite per lo Sviluppo (Pnud). La Banca Centrale del Venezuela, controllata dal regime, sta chiedendo il trasferimento “urgente” per potere acquistare alimenti e medicine.

Le autorità del governo socialista sostengono che il ritiro è necessario per fare fronte all’emergenza provocata dalla pandemia Coronavirus. Anche se tutto indica che la crisi del Venezuela risale a prima della diffusione del virus. Secondo i dati dell’Università Johns Hopkins, il Venezuela – insieme al Costa Rica – registra la cifra più bassa di contagi e morti per Covid-19: 10 morti e 749 pazienti positivi.

I conti di Caracas sono in rosso, mentre l’iperinflazione continua ad aumentare. A questo si aggiungono il collasso dell’industria petrolifera venezuelana e le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e l’Unione europea. Così a Maduro non resta che cercare liquidità nelle poche riserve internazionali del Paese.

Tuttavia, le 31 tonnellate di lingotti d’oro del Venezuela che si trovano nei caveau della Banca d’Inghilterra sono bloccate. Come ricorda la Bbc, da gennaio del 2019 Maduro non è riconosciuto come capo dello Stato venezuelano dall’Unione europea e il Regno Unito. Questa mancanza di legittimazione internazionale ha impedito l’assistenza finanziaria del Fondo Monetario Internazionale richiesta da alcuni mesi, e ottenuto il parere negativo della Banca d’Inghilterra per liberare queste risorse.

I rappresentanti della Banca d’Inghilterra, che custodiscono le risorse internazionali di molti Paesi in via di sviluppo, hanno preferito non fare commenti sulla vicenda.

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