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Da Silvia Romano alla Libia. La centralità turca raccontata dall’amb. Marsili

La sfida del Covid-19 è “del tutto nuova, ma dopo aver preso le misure come è accaduto per ogni organizzazione gli alleati hanno saputo dare una risposta all’altezza” facendo emergere la “coesione politica e la solidarietà”. È quanto affermato alcuni giorni fa dall’ambasciatore d’Italia alla Nato, Francesco Maria Talò, in un’intervista all’Ansa in cui ha ricordato come l’Italia “abbia beneficiato di forme di assistenza” da parte di numerosi alleati. 

Tra questi, assieme a Stati Uniti, Repubblica Ceca, Polonia e Germania, l’ambasciatore Talò ha citato la Turchia. Ma che effetto sta avendo questa pandemia sulla politica estera della Turchia? Formiche.net ne ha discusso con Carlo Marsili, per sei anni ambasciatore d’Italia in Turchia tra il 2004 e il 2010.

L’emergenza da Covid-19 sta riavvicinando la Turchia alla Nato?

Come sempre la Turchia sta cercando di barcamenarsi su due fronti: da un lato c’è l’esigenza di mantenere buoni rapporti con la Russia in chiave Siria e Libia, dall’altro quella di migliorare le relazioni con gli Stati Uniti ormai da diversi mesi a livelli molto bassi. E per questo sta cercando di cogliere l’occasione di questa pandemia, sia con gesti come l’invio di materiale sanitario sia congelando il dispiegamento del sistema missilistico russo S-400 — nonostante le trattative con i russi non si siano certo interrotte. Tutto questo per riaccreditarsi con gli Stati Uniti innanzitutto e in ambito Nato di conseguenza. 

Quanto al rapporto con l’Unione europea, invece?

Un certo tentativo di riavvicinamento, sempre cogliendo l’occasione della pandemia, c’è stato. Perché la Turchia ha inviato materiale anche a diversi Paesi europei, tra cui l’Italia e la Germania. Tuttavia, con l’Unione europea il rapporto è più complesso. Anche perché con gli Stati Uniti è in qualche modo più semplice per la Turchia interloquire visto che il rapporto personale di Recep Tayyip Erdogan con Donald Trump è sostanzialmente buono — come peraltro quello con Vladimir Putin. Con i Paesi europei, invece, è diverso. Intanto, la mancanza di una politica estera comune fa sì che la Turchia debba trattare con i singoli Stati membri. C’è qualche tentativo di riavvicinamento, in particolare con la Germania, ma la priorità di Ankara è il ripristino delle relazioni commerciali di cui ha molto bisogno in particolare in vista della crisi economica che seguirà quella sanitaria. 

Come la sta gestendo Ankara?

Tutto sommato riesce a gestirla in maniera considerata soddisfacente da una fetta molto consistente della popolazione. Ma i problemi arriveranno con la crisi economica che seguirà. Intanto, la Turchia sta perdendo in questo momento introiti importanti dovuti al quasi azzeramento del turismo, e questa è soltanto una delle questioni con cui Ankara dovrà fare i conti. 

Spostiamoci nell’area Mena. Come valuta le recenti mosse turche?

Ho l’impressione che la Turchia sui fronti libico e siriano abbia conseguito due successi. In Siria ha fatto sì che Russia e Stati Uniti finissero per considerare valide la posizione turca di creare questa fascia di sicurezza attualmente pattugliata da turchi e russi con il consenso americano per poterci poi eventualmente portare circa 4 milioni di rifugiati siriani. In Libia è riuscita a ottenere attraverso il trattato con il Governo di accordo nazionale un ruolo alla futura Conferenza sulla Libia, ma anche un riconoscimento della presenza nelle acque territoriali nel Mediterraneo orientale tale da evitare la sua esclusione. Diciamo la verità: Egitto, Israele e Grecia puntavano a un loro forte riposizionamento nel Mediterraneo orientale che escludesse la Turchia. Il trattato con Fayez Al Serraj può essere sì considerato non valido sul piano internazionale ma è un dato di fatto che costringe gli altri Paesi a rivalutare le loro rivendicazioni. La Turchia vuole ridiscutere la questione delle acque territoriali con la Grecia convinta di non aver ricevuto un trattamento equo. Inoltre, impedendo a Total ed Eni di fare le trivellazioni in acque considerate da tutti cipriote ma che per Ankara sono turco-cipriote, la Turchia ripropone la mai risolta questione cipriota.

Qual è lo stato delle relazioni tra Turchia e Cina? Che effetto può avere il coronavirus?

Prima di questa pandemia la Turchia una delle direttrici della politica estera turca era il miglioramento del rapporto la Cina che però sono complicate. Basti pensare alla questione uigura. Erdogan ha cercato in qualche modo di farla passare in secondo piano, però difficilmente questa cosa potrà durare a lungo visto un legame tra turchi e uiguri che Ankara non può dimenticare. Vedremo cosa accadrà. Tuttavia dobbiamo registrare come, nonostante Erdogan fosse prima più preoccupato di aver buoni rapporti con Cina, Russia e Stati Uniti, ora con la pandemia l’Europa tornerà a interessarlo molto di più per ragioni economiche e commerciali. Finora Erdogan è stato certamente abile nella sua politica con cui è riuscito a tenersi buoni tutti quanti, ma è difficile dire quanto potrà durare, in particolare in caso di crisi economica.

Questo potrebbe far sì che il negoziato con l’Unione europea riprenda?

Credo che nessuna delle due parti abbia interesse a definire decaduti per sempre i negoziati. Però non vedo una vera volontà di riprendere il negoziato né da parte europea né da quella turca.

Ma non potrebbe essere la crisi economica a spingere Ankara e Bruxelles a riavvicinarsi?

Personalmente ho sempre considerato con favore l’idea dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea, lo vado dicendo da che ero ambasciatore ad Ankara e continuo a sostenere che sarebbe opportuno riprendere il negoziato. Ma per farlo ci vuole la volontà di entrambi. E tra i Paesi europei ce ne sono di assolutamente contrari, basti pensare a pesi massimi come Austria, Olanda, Germania e Francia.

E da parte turca, invece?

Esiste un interesse a riprendere il negoziato con l’Unione europea perché il partito di governo, l’Akp, se ne è fatto sempre sostenitore e adesso non può tirarsi indietro. L’opposizione, che era più cauta in passato, adesso se n’è fatta forte sostenitrice perché ha capito che sul piano politico è essenziale per la società civile turca vedere una sponda nell’Unione europea. Il negoziato potrebbe riprendere da parte turca ma c’è molta stanchezza per la mancanza di volontà della controparte e per il fatto che in 15 anni non è stato compiuto alcun passo in avanti nonostante l’impegno turco, in particolare tra il 2006 e il 2010, anche con enormi sforzi anche sul piano legislativo e politico per avvicinarsi all’Unione europea. 

Un’ultima domanda. Il blitz dell’intelligence per liberare Silvia Romano è stato condotto dall’Aise con la collaborazione dei servizi turchi e somali. Ci spiega questa presenza turca in Africa?

Già quando ero ambasciatore ad Ankara, la Turchia aveva iniziato una forte offensiva africana aprendo ambasciate in quasi tutti i Paesi del continente, cosa che pressoché nessuno Stato fa: basti pensare che molte rappresentanze italiane coprono in capitali africane più di un Paese. Inoltre, Ankara ha messo in campo la Turkish Airlines: dal 2012 fino a metà marzo (causa coronavirus) c’erano voli regolari per Mogadiscio. Infine, ci sono state molte visite di Erdogan. Investimenti, interventi umanitari e fattore religioso hanno reso la Turchia, la seconda presenza in Africa dopo la Cina, ed è ben vista. A differenza di Pechino, percepita come necessaria ma rapace.

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