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Capo di M5S o nuovo partito. Il dilemma di Conte spiegato da Pagnoncelli

Il governo e il presidente Conte hanno fatto registrare un aumento del loro consenso dopo l’accordo raggiunto sul Recovery Fund. In particolare, l’indice di gradimento di Conte si attesta a 65 e dal conclamarsi della pandemia in poi si è mantenuto su valori superiori a 60. Si tratta dei livelli più elevati da quando è alla guida dell’attuale esecutivo, paragonabili a quelli ottenuti dallo stesso Conte nel primo semestre di vita del precedente governo gialloverde.

Il premier oggi può contare su un livello di consenso quasi plebiscitario tra gli elettori delle forze della maggioranza, e su un apprezzamento da parte di circa oltre un terzo degli elettori dell’opposizione e di due terzi degli astensionisti. A fronte di questo apprezzamento, molti si chiedono se Conte potrà avere un futuro politico, promuovendo un suo partito o assumendo la guida del M5s, la forza politica da molti considerata a lui più vicina (pur non facendone parte).  Una ricerca recente realizzata da Ipsos su queste due ipotesi ha evidenziato che, a livello teorico, l’elettorato potenziale sarebbe abbastanza elevato, raggiungendo il 14% nel caso di un partito di Conte, e portando il M5s al 24% nel caso di leadership del movimento.

Si tratta di dati da prendere con grande prudenza per svariati motivi. Il M5s, dallo straordinario risultato alle politiche del 2018 ad oggi, a seguito della forte contrazione di voti ha subito un profondo cambiamento del peso delle componenti del proprio elettorato. Affiorano molte divisioni che alimentano l’aspettativa di un leader che sappia mediare tra le diverse anime del movimento, impresa non facile tenuto conto di chi propende per il completamento del processo di istituzionalizzazione e coloro che sono più favorevoli a politiche più riferite allo spirito movimentista delle origini.

Quanto al “partito di Conte”, il premier dovrebbe fare i conti con la rinuncia ad un profilo “istituzionale”, pertanto si vedrebbe costretto a combattere ogni giorno senza esclusione di colpi contro gli avversari, tra i quali, in un sistema proporzionale, andrebbero annoverati anche gli attuali alleati. Insomma, rispetto al ruolo attuale, si tratta di un altro mestiere, che richiede risorse e caratteristiche diverse. “Ci vuole un fisico bestiale”, come si intitolava una canzone degli anni ’90. D’altra parte altre prestigiose figure che sono passate da un ruolo all’altro non hanno mietuto successi, da Lamberto Dini a Mario Monti. Per tacere di Antonio Di Pietro, l’eroe di Mani Pulite.

(Analisi pubblicata su InPiù)

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