Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Libia, Turchia e Difesa. Cosa unisce (e cosa divide) Italia e Francia. Parla Darnis (Iai)

L’Italia può essere mediatore nella disputa tra Parigi e Ankara, anche per rafforzare il ruolo europeo nell’intricato scenario libico. Dopo gli anni bui dei sospetti reciproci, forse tra le Alpi si è aperta una nuova stagione di dialogo e collaborazione, dal Sahel alla Difesa europea, che andrebbe probabilmente “strutturata meglio”. Certo, restano alcuni dossier di divergenza, soprattutto a livello industriale. È il quadro Italia-Francia descritto da Jean Pierre Darnis, professore associato presso l’Università della Costa Azzurra e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (Iai), dove guida il programma “Tech-Rel”, dedicato a tecnologie e relazioni internazionali. Formiche.net lo ha raggiunto all’indomani dell’incontro tra Lorenzo Guerini e la collega francese. Florence Parly ha infatti scelto Roma per la prima uscita ufficiale dall’inizio dell’emergenza Covid-19. Lo stesso aveva già fatto il suo collega degli Esteri Jean Yves Le Drian. Tra l’altro, per entrambi, l’ultima era stata il vertice Italia-Francia di Napoli.

Sembrano lontani i tempi di Di Maio con i gilet gialli e del richiamo a Parigi dell’ambasciatore in Italia. Quale è oggi lo stato dei rapporti tra Italia e Francia?

C’è certamente una differenza tra il primo e il secondo governo Conte. Siamo usciti dai rapporti tesi e degradati di un anno fa. Certo, non bisogna pensare che siano spariti tutti i problemi, ma sicuramente lo stile sembra molto diverso. A fine febbraio, quando l’epidemia stava già prendendo piede, si decise di mantenere il summit bilaterale di Napoli per un rilancio ufficiale. Poi, dopo l’emergenza, è venuto a Roma il ministro degli Esteri Jean Yves Le Drian, già ministro della Difesa, con un peso importante nel governo. Ieri è arrivata Florence Parly e nel frattempo, anche in ambito Covid, i ministri della Salute hanno mantenuto sempre aperto il canale di dialogo. Sono tutti segnali della grande considerazione di Parigi nei confronti dell’Italia, e già questo è un messaggio importante. Va notato anche che non si sono viste altrettante visite italiane in Francia, e ciò dà quantomeno l’idea di una Francia pro-attiva.

Tra l’altro, nel rimpasto del governo francese sono stati confermati, tra gli altri, Parly e Le Drian. Che peso hanno nell’esecutivo?

Un peso sicuramente importante, soprattutto Le Drian. Viene da una lunga tradizione socialista, con un forte radicamento territoriale essendo riuscito a gestire bene la regione della Bretagna. È un leader di grossissimo peso, considerato un fedele di Macron. Rappresenta un filone culturale, quello socialista, che è nel macronismo sin dall’inizio.

E Florence Parly?

Anche lei è di area socialista, ma più tecnocrate. Una tecnocrate sicuramente brillante, che nel corso degli anni si è fatta apprezzare per il pragmatismo con cui ha gestito un dossier non facile. Non dimentichiamoci che Macron iniziò piuttosto male con i militari, con le dimissioni dell’allora capo di Stato maggiore della Difesa, Pierre de Villers. Parly ha un ottimo riscontro tra le Forze armate e il Parlamento; ne parlano tutti bene. Rappresenta anche lei la costola della famiglia socialista che Macron non voleva togliere nel rimpasto di governo, soprattutto considerando che quest’ultimo ha determinato l’ingresso di figure provenienti dalla cultura politica di destra.

Ha parlato di dossier che restano complicati tra Italia e Francia. Quali?

Prima di tutto il dossier che riguarda Libia e Turchia. È emblematico l’incidente che ha coinvolto la fregata Courbet impegnata nell’operazione Nato Sea Guardian, disegnata per tre volte come target sul radar di una nave turca che ha usato i codici Nato per “minacciare” (in gergo militare) la nave francese. La vicenda ha avuto un grosso riscontro in ambito Nato, anche perché rileva in modo evidente la tensione tra Parigi e Ankara. Sulla Libia, Italia e Francia hanno idee diverse, ma al momento sono entrambe in posizione scomoda.

Quale?

Sono attori emarginati da giochi di potenza su cui non entrano per scelte sbagliate, soprattutto quella di non essersi coordinati prima. Perciò è importante che ora si parlino, alla ricerca di una condivisione strategica che fino a poco fa non poteva essere immaginata. I vari incontri Esteri-Difesa sono fondamentali per lo sviluppo di una “visione strategica comune”, termine che tuttavia resta ancora troppo ambizioso anche considerando la permanenza di erronee idee di rivalità.

Eppure, sul Sahel sembra esserci convergenza.

Sì. La partecipazione italiana alla task force Takuba è certamente un forte segnale positivo agli occhi della Francia, che segue quello, seppur modesto, predisposto in Niger da un paio d’anni. Per Takuba il dispiegamento è maggiore; bisogna vedere come si svilupperà, ma sicuramente è un segnale positivo dato da Roma a Parigi. È dai primi anni 2000, con la Unifil 2 in Libano, che non esiste una missione comune, al contrario di quanto accaduto negli anni ’90 con la grande stagione della cooperazione militare tra Italia e Francia, ad esempio nei Balcani. Certamente restano degli attriti, nonché il forte sospetto italiano (forse proprio francofobia) nei confronti della Francia. Ora però non è inasprito dal governo, e la grande frequenza degli incontri dimostra che sarebbe auspicabile strutturare maggiormente il rapporto.

Pensa al Trattato del Quirinale?

Non voglio usare etichette che rischiano solo di creare attese e problemi. In ogni caso, c’è sicuramente la necessità di strutturare meglio gli incontri governativi per confrontarsi proprio come si sta facendo adesso. Se inserito in ottica europea (e non puramente bilaterale), sono tanti gli ambiti in cui un maggiore e sistematico confronto tra Italia e Francia potrebbe andare a beneficio di entrambe.

E sulla Nato? Le critiche di Macron sulla “morte cerebrale” si sono tradotte alla fine in una promozione della riflessione sul futuro dell’Alleanza.

Paradossalmente, la Francia è forse oggi il membro più attivo della Nato. Le critiche di Macron hanno alimentato il dibattito, portando ad esempio ufficiali francesi qui a Roma, al Nato Defense College, a cercare di mediare e definire un piano strategico. Per Parigi resta poi certamente il problema americano.

Ci spieghi meglio.

Macron aveva pensato all’inizio della presidenza di poter costruire un rapporto speciale con Trump, anche perché la relazione tra Francia e Stati Uniti è forte e consolidata in tanti campi e aree, come in Africa. Il tentativo si è rivelato però fallimentare, proprio come l’apertura alla Russia per un nuovo dialogo strategico. In questa situazione di fondo si inserisce il problema della Turchia, arrivata a giocare contro gli interessi di una missione della Nato e a offrire sostegno rilevante a una delle parti in campo libico. Per i francesi è un grosso problema, ma qui vedo maggiori margini per l’Italia.

Intende un ruolo di mediazione?

Sì. L’Italia è da sempre molto diplomatica, e ha storicamente un grosso canale con la Turchia, forse perso con le recenti evoluzioni.

Anche se due giorni prima di incontrare Parly, Guerini è stato ad Ankara, a due settimane dalla visita Di Maio…

È per questo che ci si potrebbe aspettare un ruolo di mediazione e composizione da parte dell’Italia. Ha sicuramente posizioni più vicine alla Francia, ed è un membro fedele della Nato. Ci sono margini d’azione interessanti per cui sembra necessario riprendere una dialettica collaborativa. Dopo decenni orrendi nei rapporti tra Roma e Parigi, che hanno raggiunto il culmine lo scorso anno, è bene tornare a dialogare per i benefici di entrambi.

Anche sulla Difesa europea Italia e Francia sembrano allineate nel chiedere a Bruxelles un altro livello d’ambizione (e di risorse per l’Edf). Ci sono però pure dossier di divergenza, come il carro armato del futuro. 

Sono questioni parallele. Sia Italia che Francia hanno una struttura di economia pubblica nel settore dell’aerospazio e difesa. Con previsioni nere per l’economia di tutto il Vecchio continente, hanno il comune interesse a una rivitalizzazione, convergendo sul sostegno pubblico europeo. Poi ci possono essere divergenze sui singoli programmi. Non dimentichiamoci che quando Francia e Germania hanno lanciato il programma per il caccia di sesta generazione, l’Italia ha aderito al progetto del Regno Unito in uscita dall’Ue. Non è un dossier di oggi, ma bisogna riconoscere che, nonostante stile e preoccupazioni comuni, le iniziative industriali corrono spesso parallele senza punti di contatto. Chiaramente sono tutte legittime, ma poi non bisogna stupirsi se portano alla competizione.

×

Iscriviti alla newsletter