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Un oceano di intelligence. Così Xi Jinping controlla il Pacifico

Di Antonio Teti

Non vi sarebbero più dubbi sulla costruzione di una rete di sorveglianza nel Mar cinese meridionale per mezzo di piattaforme di sorveglianza galleggianti, finanche in acque internazionali, da parte della Cina. Nonostante Pechino abbia fornito rassicurazioni sull’utilizzo di tali dispositivi solo per scopi “civili”, è difficile ritenere che gli stessi non vengano impiegati dai militari e dai servizi di intelligence cinesi per attività di controllo e acquisizione di informazioni, un approccio di tipo “dual-use” tanto caro al governo cinese. Secondo una ricerca condotta dall’Asian Maritime Transparency Initiative del CSIS, le piattaforme di sorveglianza farebbero parte di un sistema di monitoraggio, controllo e comunicazione denominato Blue Ocean Information Network.

Il cuore del sistema è rappresentato essenzialmente da piattaforme mobili munite da un numero corposo di sensori installate in mare a diverse profondità. Poche e scarne informazioni sull’esistenza di queste stazioni di sorveglianza, denominate Ocean E-Station, furono rivelate durante il Langkawi International Maritime and Aerospace exhibition tenutasi in Malesia nel 2019.

Ciononostante l’annuncio dell’identificazione della prima piattaforma fissa di comunicazione/sorveglianza elettronica è di alcuni giorni fa, e si riferisce a quella realizzata dalla China Electronics Technology Group Corporation (CETC) e ubicata a Bombay Reef, una piccola isola rocciosa ubicata nelle Paracel Islands. Secondo gli analisti di Asia Maritime Trasparency Initiative (AMTI, la costruzione della stazione galleggiante di Bombay Reef è databile ai primi di luglio del 2018. La stazione, denominata Island Reef Information System, corrisponde ad una Ocean E-Station, ovvero un componente della Blue Ocean Information Network, una rete di sistemi integrati di tipo C3 (Command, Control, Communication) completamente automatizzato la cui attività “ufficiale” sarebbe quella dell’esplorazione, lo sfruttamento e il controllo dell’ambiente marittimo.

In realtà la CETC, di proprietà del governo cinese e principale fornitrice di tecnologie innovative nel settore civile, militare ed in particolare dell’intelligence, ha sviluppato due tipologie di Ocean E-Station nelle isole e negli avamposti cinesi presenti nel Mar Cinese Meridionale. Quella di Bombay Reef è una piattaforma galleggiante fissa e senza equipaggio, progettata per l’installazione ad una profondità di 10 metri su una barriera corallina disabitata.

Il Anchored Floating Platform Information System corrisponde invece ad una Ocean E-Station con caratteristiche sostanzialmente identiche al quelle di Bombay Reef ma che si differenzia da essa per il fatto che può essere installata in acque con profondità marine che oscillano tra i 60 e 400 metri. Una volta fissata, la parte inferiore metà della piattaforma si trova sott’acqua sia per garantire la stabilità dell’impianto che per rendere “invisibili” i dispositivi elettronici di sorveglianza, mentre la parte superiore, in emersione, si occupa della fornitura di energia per mezzo di pannelli solari disposti sul ponte.

Entrambe le piattaforme sono completamente autosufficienti e mobili (trasportabili da rimorchiatori), e sono alimentate esclusivamente da energia solare. Sono controllate a distanza e non necessitano di personale per il loro funzionamento.

Quella di Bombay Reef sembra essere la prima stazione galleggiante cinese “identificata” dai media occidentali, ma secondo alcune fonti le piattaforme galleggianti già state dispiegate nel Mar Cinese Meridionale ammonterebbero ad una decina. Pechino sostiene che le stazioni sono utilizzate come torri di comunicazione, monitoraggio ambientale, rilevamento di anomalie sismiche, per la navigazione assistita e per la sorveglianza marittima.

Le piattaforme sono munite di una vasta gamma i sensori e sistemi di comunicazione, che includono delle torrette munite di sensori elettro-ottici e all’infrarosso, sistemi radio ad alta frequenza e antenne cellulari 4G. Alcune sono munite di una cupola radar, che potrebbe assumere il ruolo di principale sistema di trasmissione/ricezione dati. Sembra che le piattaforme non necessitino di alcuna manutenzione, se non in casi eccezionali.

Con questo sistema di control and integrated communication la Cina, che ricordiamo rivendica il possesso del 90% del Mare Cinese Meridionale, ha aumentato in maniera esponenziale la copertura radar dell’intera area. Pechino ora può contare su una catena globale di comunicazione tra Hainan e le barriere coralline, ivi comprese le isole Paracel (nome cinese Nansha) e Spratly (nome cinese Nansha).

Va evidenziato che molte di queste isole hanno già stazioni di controllo radar funzionati. Nel 2019 il Ministero della Difesa cinese aveva esplicitamente ammesso che le piattaforme Ocean E-Station potevano servire anche per la “sorveglianza continua di obiettivi offshore” e per svolgere ruoli importanti per “la costruzione sulle isole cinesi Nansha e Xisha, a difesa delle isole e delle barriere coralline”. A tal proposito proprio nell’isola di Woody Island, nel Paracelso, occupata dai cinesi nel 1956, sono stati recentemente schierati dei caccia-intercettori Sukhoi Su-27 Flanker, a ridosso delle esercitazioni condotte nella zona dalla portaerei statunitense USS Ronald Reagan (CVN 76).

Il programma Blue Ocean Information Network, nel giro di pochi mesi, andrà ad integrarsi con i sistemi già funzionanti denominati Inderwater Great Wall e Underwater Monitoring System, progettati nel 2013 e basati su una rete di sensori subacquei e invisibili ubicati a 2.000 metri di profondità, costato più di 313 milioni di dollari, e realizzati per il monitoraggio dei sottomarini classificati “nemici”.

L’installazione di un sistema di controllo del Mare Cinese Meridionale fornisce una precisa e chiara indicazione, anche per miopi più ostinati, della visione cinese nel prossimo futuro: il controllo totale dell’area marittima che si estende dalla Malesia fino alla Corea del Nord, estendendo il dominio fino al Giappone. Anche se tale area marittima è caldamente rivendicata dalle Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei e Taiwan, la Cina sta esercitando, di fatto, un controllo diretto e reale su tutto il contesto geografico, isole comprese. Vale la pena di ricordare che ai sistemi di controllo descritti può essere abbinato, in casi estremi, il supporto della cosiddetta “milizia marittima” cinese, ovvero la forza navale paramilitare basata sulla flotta peschereccia civile cinese che può contare su una potenza di circa 200.000 uomini e che rappresenta per la Marina del People’s Liberation Army (PLA) un notevole moltiplicatore di forza e non solo economica, perché capace di condurre interessanti  attività di “intelligence” ad ampio spettro in funzione della numerosità delle imbarcazioni che conducono navigazioni a largo raggio.

L’industria della pesca commerciale cinese impiega 14 milioni di persone – un quarto dei pescatori totali del mondo – un esercito di “pescatori” che Pechino può mobilitare come vuole, contando sull’assoluta determinazione e fiducia di pescatori motivati non tanto da un probabile “forzato” patriottismo da parte del governo centrale, ma soprattutto da motivazioni squisitamente di tipo “alimentare”. In caso di necessità, pertanto, la flotta peschereccia potrebbe diventare potenzialmente una temibilissima arma marittima in tempo di guerra.

Se negli ultimi anni la costruzione di basi aeree e stazioni radar lungo le coste e nelle aree territoriali cinesi ha destato non poche preoccupazioni nei Paesi confinanti ed in particolare negli Stati Uniti, la dislocazione di queste piattaforme di sorveglianza in tempi recenti non ha sollevato, stranamente, particolari pubbliche tensioni. Una spiegazione potrebbe essere quella del considerevole deterioramento dei legami tra gli Stati Uniti e la Cina su questioni che vanno dal Covid-19 alla diffusione di dispositivi per le telecomunicazioni Huawei, fino alle recenti repressioni delle proteste a Hong Kong.

Ma non tutti i Paesi, con particolare riferimento a quelli europei, sono intenzionati a seguire l’amministrazione Trump sulla strada del distanziamento dalla Cina, soprattutto sul piano tecnologico. E se la stipula di nuovi accordi commerciali e industriali tra i paesi occidentali e la Cina non tende a diminuire, alcuni, probabilmente, destano particolare preoccupazione a Washington.

E tra questi potrebbe esserci quello siglato nel 2018 dalla tedesca Siemens proprio con la China Electronics Technology Group Corporation (CETC), finalizzato ad una cooperazione nel settore industriale, digitale, dell’elettronica, per la produzione di semiconduttori, di piattaforme Internet e per lo sviluppo di applicazioni di information security. In questa ottica, la recente annunciata riduzione delle forze armate statunitensi in Germania, che interesserà 11.900 militari ivi incluso lo spostamento di 30 caccia F-16 del 480° Squadron sulla base di Aviano, forse può assumere un significato diverso…

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