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La verità, per favore, sull’accordo Vaticano-Cina. Scrive Benedict Rogers

Di Benedict Rogers

Quando il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo arriverà a Roma questa settimana, il Vaticano farebbe bene ad ascoltare ciò che ha da dire sui diritti umani in Cina, sul cattolicesimo e sull’accordo della Santa Sede con Pechino.

In un recente articolo su First Things, Pompeo ha delineato la brutale repressione del Partito Comunista Cinese e ha esortato: “Ora più che mai, il popolo cinese ha bisogno della testimonianza e dell’autorità morale del Vaticano a sostegno dei credenti religiosi cinesi”.

Finora, quella testimonianza e quella autorità morale sono state carenti nei confronti della Cina, dato che il Vaticano è pronto a rinnovare un accordo provvisorio di due anni con il governo cinese che, stranamente, sembra aver comprato il silenzio di papa Francesco sulle ingiustizie perpetrate da quel regime causando solo un’ulteriore repressione ai danni dei cattolici in Cina nonché frammentazione nella Chiesa in tutto il mondo.

Prima della sottoscrizione dell’accordo due anni fa, ho espresso profonde preoccupazioni per una tale intesa, ma ho voluto comunque concedere al papa il beneficio del dubbio. Il fatto che si trattasse di un accordo “provvisorio” mi ha dato la speranza che se – com’era prevedibile – non avesse funzionato, l’accordo sarebbe stato terminato. In tutta umiltà, essendomi convertito al cattolicesimo solo sette anni fa – ispirato e accolto nella Chiesa dal cardinale Charles Bo in Myanmar (Birmania) – ho creduto che fosse un rischio enorme, ma ho anche ritenuto che il Papa sapesse molte cose di cui io non ero a conoscenza.

Si può presumere che le motivazioni alla base dell’accordo – almeno da parte del papa – nascessero da buone intenzioni, anche se ingenue e romantiche. In primo luogo, c’era la speranza che la “normalizzazione” delle relazioni avrebbe protetto meglio i cattolici in Cina. Inoltre, come primo pontefice gesuita in assoluto, Francesco risulta essere particolarmente affascinato da Matteo Ricci, il sacerdote gesuita italiano del XVI secolo famoso per il suo abbraccio alla Cina, di cui vorrebbe seguire l’esempio. Ricci imparò la lingua cinese, adottò gli abiti, i costumi e la cultura cinesi, e divenne consigliere della corte imperiale cinese.

C’è molto da ammirare nella storia di Ricci e da condividere il suo amore per il popolo e la cultura cinese. Ma il Vaticano sembra aver confuso l’amore per la Cina con la necessità di inchinarsi al Partito Comunista Cinese (Pcc). L’idea che un funzionario vaticano possa avere influenza sulla corte di Xi Jinping nel modo in cui l’ha avuto Ricci sull’Imperatore è un castello in aria. I cattolici infatti non sono stati protetti meglio, anzi, subiscono un controllo sempre più stretto da parte del Pcc.

Sono sbagliati tutti gli aspetti dell’accordo: il modo in cui è stato raggiunto e annunciato, il tempismo, le conseguenze.

Tanto per cominciare, il testo dell’accordo rimane segreto, quindi nessuno oltre ai negoziatori e ai leader chiave di entrambe le parti conosce i dettagli dei contenuti. Questo è profondamente preoccupante. Se è un accordo così buono, perché non possiamo tutti sapere cosa dice?

L’unica cosa che sappiamo è che conferisce al Pcc un ruolo decisionale nella nomina dei vescovi cattolici, cosa assai curiosa, data l’adesione del regime all’ateismo. Questa clausola ha costretto diversi vescovi cattolici della Chiesa “sotterranea”, da sempre fedeli a Roma, a farsi da parte a favore di vescovi nominati da Pechino. Di per sé un tradimento totale di membri del clero che hanno mostrato, a caro prezzo personale, devozione assoluta a Roma.

Inoltre, apparentemente l’accordo è stato concluso dal Vaticano senza precondizioni. Perché, ad esempio, non è stato richiesto – e assicurato – il rilascio del clero e dei credenti cattolici in carcere prima della sottoscrizione dell’accordo come condizione per procedere? Per quanto ne so, nessun sacerdote incarcerato prima dell’accordo è stato rilasciato a seguito della firma, e da allora molti altri sono stati arrestati.

In secondo luogo, il tempismo è del tutto sbagliato. Aver firmato – ed essere sul punto di rinnovare ora – un accordo che non ha prodotto alcun vantaggio evidente per la Chiesa, in un momento in cui il Pcc sta intraprendendo la più severa repressione della religione in generale – compresi i cristiani – dalla Rivoluzione Culturale sembra davvero straordinario. Un regime sempre più accusato di genocidio contro gli Uiguri, di prelievo forzato di organi che costituisce un crimine contro l’umanità, di continua repressione in Tibet e di un grande assalto alla chiese di tutte le tradizioni cristiane sicuramente non è un partner affidabile per la Santa Sede.

In terzo luogo, non solo l’accordo non ha migliorato la libertà religiosa in Cina, ma ha addirittura portato a una maggiore repressione.

Solo la settimana scorsa, nella provincia di Jiangxi, alcuni sacerdoti cattolici sono stati messi agli arresti domiciliari e posti sotto sorveglianza con il divieto di “svolgere qualsiasi attività religiosa in qualità di clero”, in seguito al loro rifiuto di aderire alla cosiddetta “chiesa patriottica” del regime. Al vescovo Lu Xinping della cosiddetta “chiesa sotterranea” è stato vietato di celebrare la messa.

E quarto, Pechino sembra aver comprato il silenzio del Papa.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhang Lijian ha recentemente affermato che l’accordo tra il regime del Pcc e il Vaticano è stato attuato “con successo” e che le due parti “continueranno a mantenere una stretta comunicazione e consultazione e migliorare le relazioni bilaterali”. Indubbiamente dal punto di vista di Pechino, questo è vero. È un successo… per Pechino. L’accordo ha cementato il controllo del regime sulla Chiesa e minato l’autorità morale del Papa.

Quasi ogni domenica, quando recita l’Angelus in Piazza San Pietro, papa Francesco giustamente sottolinea almeno una questione di ingiustizia da qualche parte nel mondo. Ha spesso parlato e pregato per i cristiani in Medio Oriente, i Rohingya in Myanmar, gli Yazidi in Iraq e Siria, per coloro che soffrono nei conflitti in Yemen, in Ucraina e altrove. Eppure c’è un paese le cui sofferenze del popolo spiccano per la loro assenza dalle sue preghiere pubbliche: la Cina. Per quanto ne so, papa Francesco non ha mai parlato pubblicamente della persecuzione dei cristiani in Cina, dei crimini atroci contro gli Uiguri o della repressione a Hong Kong o in Tibet. In un momento in cui gran parte del resto del mondo comincia a svegliarsi e a parlare contro la repressione, le menzogne e i pericoli del regime del Pcc, il silenzio del papa spicca ancor di più.

Tutto questo in un anno in cui è aumentata non solo la repressione domestica del Pcc, ma in cui la sua minaccia per il mondo intero si è fatta più chiara. L’incapacità del regime di agire in modo responsabile nelle prime fasi del Covid-19 ha provocato nel mondo una pandemia devastante che ha distrutto vite e mezzi di sussistenza ovunque. La repressione dei whistleblower – i coraggiosi medici e giornalisti cittadini che hanno cercato di far conoscere la verità sul virus – è il simbolo del carattere di questo regime.

Aveva ragione il cardinale Bo, come presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, quando ad aprile ha scritto che “il regime cinese guidato dall’onnipotente Xi Jinping e dal Pcc – non dal suo popolo – deve a tutti noi delle scuse e il risarcimento per la devastazione che ha causato. Come minimo, dovrebbe cancellare i debiti di altri paesi per coprire il costo del Covid-19. Per il bene della nostra umanità comune, non dobbiamo avere paura di chiedere conto a questo regime. I cristiani credono, nelle parole dell’apostolo Paolo, che dobbiamo “rallegrarci con la verità”, perché come dice Gesù, “la verità ti renderà libero”. Verità e libertà sono i due pilastri su cui tutte le nostre nazioni devono costruire fondamenta più sicure e solide.”

Pompeo ha concluso il suo articolo con quelle stesse parole: “La verità ti renderà libero”. Quei pilastri gemelli di verità e libertà sono direttamente minacciati dall’accordo Vaticano-Cina, e per questo motivo non dovrebbe essere rinnovato incondizionatamente. Per lo meno il testo dovrebbe essere pubblicato, in modo che possiamo rivederlo tutti insieme. Spero che il Vaticano ascolti queste parole, ripensi il suo approccio e recuperi la sua autorità morale.

Traduzione di Laura Harth

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