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L’Ue rialza la testa sulla Libia. Ecco le sanzioni (anche contro Ankara)

“Misure concrete”: sanzioni a due persone e tre entità (una turca) colpevoli di aver violato i diritti umani e l’embargo di armi sulla Libia. È la più recente mossa sull’intricato dossier che arriva da Bruxelles, dove Luigi Di Maio e colleghi dell’Ue si sono riuniti per un nuovo vertice presieduto dall’Alto rappresentante Josep Borrell. Salgono così a 17 le persone (e a 19 le entità) colpite da sanzioni dell’Ue (congelamento di beni e interdizione ai viaggi) dell’Ue per violazioni di diritti umani e dell’embargo sulle armi.

GLI OBIETTIVI DELL’UE

Misure che si inseriscono nella road map dell’Unione europea per la Libia, rinforzata nelle ultime settimane grazie al rinnovato attivismo tedesco e diretta a riguadagnare posizioni sul dossier rispetto a Turchia e Russia, rispettivamente sponsor del Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al Serraj (che da pochi giorni ha annunciato l’intenzione di dimettersi entro fine ottobre) e dell’Esercito libico di liberazione (Lna) di Khalifa Haftar, il leader della Cirenaica. Per Bruxelles, ha ribadito Borrell a margine dell’incontro con i ministri degli Esteri, l’obiettivo primario resta “un accordo sostenibile per la cessazione del conflitto”. Il riferimento è la tregua di giugno tra Gna e Lna, rafforzata ad agosto dal cessate-il-fuoco che Serraj ha concluso con le forze che rispondono al Parlamento di Tobruk, presieduto da Aguila Saleh. Dopo l’incontro in Marocco della scorsa settimana, l’Onu ha in programma un nuovo tavolo a Ginevra per il mese di ottobre.

IL MOMENTO

“Gli ultimi sviluppi in Libia rappresentano una finestra di opportunità per le priorità che abbiamo nel Paese”, ha spiegato Borrell. Si punta a “un accordo sostenibile per la cessazione del conflitto” attraverso il “dialogo politico”. Dopo molti mesi, ha aggiunto l’Alto rappresentante, “sulla Libia ci sono ragioni per essere cautamente ottimisti; c’è un cessate il fuoco e dobbiamo sfruttarlo”. Da parte sua, l’Ue resta focalizzata sull’embargo di armi sancito dall’Onu. È proprio questo il punto su cui l’Unione è riuscita a trovare la convergenza politica dei suoi membri, lanciando la missione Irini dalla primavera scorsa.

PIENA CAPACITÀ PER IRINI

Pochi giorni fa il comandante Fabio Agostini ha dato il benvenuto alla fregata greca Limnos, dichiarando la piena capacità operativa di EuNavForMed-Irini. Da un paio di settimane, la fregata Margottini della Marina militare italiana ha preso il posto della Nave anfibia San Giorgio, ereditando anche il ruolo di flagship dell’operazione, con a bordo il force commander Ettore Socci. L’altra unità navale a disposizione è la fregata tedesca Hamburg. Si devono poi aggiungere gli assetti aerei per sorveglianza e monitoraggio, che coinvolgono anche unità polacche e lussemburghesi. Giovedì scorso, la ministra della Difesa francese Florence Parly ha inoltre annunciato il dispiegamento per l’operazione della fregata Latouche-Treville. Fu proprio un’unità transalpina (la fregata Jean Bart) a permettere l’avvio delle operazioni lo scorso 4 maggio.

IL NODO IN MARE

Resta da definire la collaborazione con la missione Nato Sea Guardian. Sul tema c’è l’opposizione della Turchia (membro dell’Alleanza Atlantica), da sempre critica nei confronti della missione europea Irini poiché la ritiene un fattore di sostegno indiretto al leader della Cirenaica Khalifa Haftar, il quale resterebbe in grado di ricevere armamenti via terra dall’Egitto per il confronto libico con il Gna di Serraj, che Ankara sostiene. L’Ue (con l’Italia in testa) ha sempre cercato di mostrare l’impegno di Irini come “equilibrato ed equidistante” rispetto alle parti in campo. Un segnale in tal senso è arrivato lo scorso 10 settembre, quando gli assetti di Irini hanno bloccato e ispezionato un mercantile partito dagli Emirati Arabi (che sostengono Haftar) e diretto verso Bengasi in Libia. Riscontrata la violazione dell’embargo di armi visto il carico di kerosene per aerei, destinato presumibilmente a scopi militari, segnalato dal panel di esperti dell’Onu.

UN MESSAGGIO DA MOSCA

Nel frattempo, nel giorno della sanzioni Ue arriva un nuovo messaggio dalla Russia, primo sponsor di Haftar, per nulla intenzionata a perdere influenza sul dossier. Il viceministro degli Esteri (nonché inviato speciale del Cremlino in Medio Oriente e Africa) Mikhail Bogdanov ha definito “vuoto amministrativo” l’annuncio di dimissioni da parte di Serraj, sottolineando altresì la necessità di rafforzare la tregua per costruire il dialogo tra le parti in conflitto. L’obiettivo di Mosca è presentare Haftar come interlocutore imprescindibile dei vari sforzi di stabilizzazione. Senza avanzamenti territoriali dalla tregua di giugno, il leader della Cirenaica è apparso in seconda fila rispetto ai colloqui tra il Gna di Serraj e il parlamento di Tobruk presieduto da Aguila Saleh, organo che l’Onu riconosce in quanto ultima assemblea eletta dai libici.

DIVISIONE A TRIPOLI?

A incrinare il quadro in vista dell’incontro a Ginevra previsto per il prossimo mese è intervenuto oggi il ministro della Difesa del Gna Salah al Namrush. Ha affermato con un post su Facebook che non intende aderire al dialogo se lo stesso prevederà la partecipazione di Haftar. Nella stessa nota ha ribadito le attività in corso con la Turchia, il cui obiettivo è dotare Tripoli di un esercito in linea con gli standard nazionali. La linea di al Namrush testimonia la complessità del quadro politico a Tripoli, dove il vice presidente del Consiglio presidenziale (numero due di Serraj) Ahmed Maiteeg ha invece annunciato solo pochi giorni fa la conclusione di un accordo con l’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar per la ripresa delle esportazioni petrolifere.

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