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Fondi Ue, perché l’Italia spende poco (e male)

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Roma è penultima nella spesa dei Fondi europei. Ecco cosa deve fare per velocizzare la spesa delle risorse europee ed evitare di perdere una parte dei fondi del periodo 2014-2020. La riflessione del prof. Mauro Cappello, esperto di Fondi Strutturali europei e professore presso l’Università della Tuscia

 

L’Italia scivola al penultimo posto (prima era quartultima) nella classifica di spesa dei fondi europei. Questo è il dato che si legge nella Relazione annuale 2019 della Corte dei Conti Europea (European Court of Auditors) appena pubblicata. La fotografia fatta dagli Auditor di Bruxelles, su una “popolazione” europea di investimenti pari a 126 miliardi di euro di cui 28,4 dedicati alla politica di coesione, pone a confronto la performance di spesa degli Stati dell’Unione relativamente agli anni 2012 e 2019, facendo in tal modo una comparazione diretta sulla performance di spesa relativa ai periodi di programmazione 2007-2013 e 2014-2020.

L’Audit europeo mette in luce un generale rallentamento della spesa in tutti gli Stati membri, un dato che emerge chiaramente osservando il parametro della media europea, che nel 2012 era del 50% mentre per il 2019 è scesa al 40% perdendo ben dieci punti percentuali. La situazione italiana è caratterizzata da un livello di spesa per il 2019 pari al 30,7%, che è esattamente lo stesso di quello raggiunto nel 2012, confermando così una grave difficoltà delle Amministrazioni pubbliche italiane nelle procedure di spesa.

Se è vero che all’interno dell’Unione europea si è verificato un generale rallentamento della spesa, tuttavia l’Italia presenta una situazione particolarmente critica. Confrontando la situazione italiana con quella degli altri “partner” europei emerge che l’Italia con il suo 30,7% di spesa maturata è in forte ritardo rispetto agli altri Paesi.
Per esempio la Polonia, che è il primo percettore di risorse europee e deve spendere un volume di risorse molto più grande del nostro, presenta al 2019 una spesa del 41,8% (nel 2012 era al 52,3%), la Francia ha raggiunto un 44,8%, perfino la Grecia ha maturato spesa per un 42,8%.

La relazione della Corte dei Conti europea individua alcune cause alla base del generale rallentamento, ponendo nel mirino l’eccessiva complicazione delle procedure europee del periodo 2014-2020 rispetto al precedente periodo di programmazione. In particolare l’oneroso processo di designazione delle Autorità coinvolte nella spesa dei fondi Ue, un processo che in Italia si è concluso solo nel 2018 ovvero dopo ben quattro anni dall’avvio della programmazione. Un altro fattore di ritardo è individuato nell’allungamento del periodo per procedere alla dichiarazione dei costi ovvero la possibilità di spendere in tre anni invece che in due anni, una norma conosciuta come la regola dell’N+3.

Sul versante italiano le cause delle difficoltà nella spesa sono note da anni ed in sintesi riguardano principalmente un sistema normativo degli appalti farraginoso e complesso, una mancanza di personale e relativa formazione nella Pubblica amministrazione, scarsa capacità di programmazione, ecc.

Per velocizzare la spesa delle risorse europee ed evitare di perdere una parte dei fondi del periodo 2014-2020, l’Italia deve cogliere velocemente le opportunità offerte dal Coronavirus Response Investment Initiative +, una importante riforma dei Regolamenti fatta dalla Commissione europea a seguito della pandemia Covid-19, con la quale ha sostanzialmente eliminato tutti i vincoli fino ad oggi presenti e consentito un tasso del 100%, consentendo così di liberare risorse nazionali.

La strategia del ministro per il Sud con delega sui fondi europei, Giuseppe Provenzano, passa attraverso la riprogrammazione delle risorse, svincolando la parte di fondi nazionali prima appostata sui vari Programmi operativi. In tal modo si rende disponibile una grande quantità di risorse, stimata in circa 10 miliardi di euro, da immettere immediatamente nell’economia italiana e nei sistemi sanitari.

Rendere disponibili le risorse è un passaggio che da solo potrebbe non bastare, in questa circostanza è necessario che il ministero delle Infrastrutture proceda ad una veloce riforma della normativa appalti, semplificando ed alleggerendo procedure. Solo in questo modo l’Italia potrà utilizzare velocemente anche le risorse dello strumento #NextGenerationEU (meglio noto come Recovery Fund), una montagna di soldi che andranno spesi nell’arco di un tempo strettissimo.

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