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Il ruolo di Lockheed Martin per la Difesa italiana. Parla Luigi Piantadosi

“Transformational, cioè rivoluzionari”. Sono i programmi della Difesa che arrivano dagli Stati Uniti descritti in Commissione Difesa alla Camera da Luigi Piantadosi, direttore Europa e Nato di Lockheed Martin. Dall’intelligenza artificiale agli elicotteri di nuova generazione, ecco le opportunità per l’Italia

Per affrontare un mondo sempre più denso di minacce, dagli Stati Uniti è già partita la rivoluzione dei programmi della Difesa. Saranno internazionali, destinati a sviluppare sistemi avanzati tra intelligenza artificiale e iper-connettività, e portatori di nuove opportunità di collaborazione per l’industria italiana. È il quadro descritto da Luigi Piantadosi, direttore Europa e Nato di Lockheed Martin, intervenuto oggi in Commissione Difesa alla Camera, presieduta da Gianluca Rizzo, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla pianificazione dei sistemi di difesa e sulle prospettive di ricerca tecnologica, produzione e investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa.

UNA STORIA DI COLLABORAZIONE

Di base, “il fortissimo legame tra il nostro Paese, le nostre Forze armate e Lockheed Martin”, ha detto Piantadosi, ricordando la prima fornitura di velivoli T-33 per l’addestramento dell’Aeronautica italiana, risalente al 1952. Col tempo i rapporti si sono consolidati, dagli F-104 agli F-16, fino agli aerei da trasporto C-130J. Oggi, il programma di riferimento è l’F-35 con la cooperazione con Leonardo, a cui si affianca quella con Fincantieri nel settore navale. D’altra parte, il campione statunitense ha una vocazione ben oltre i confini americani. “Il volume d’affari di Lockheed Martin nel 2019 ha toccato quasi 60 miliardi di dollari – ha spiegato Piantadosi – ed il business internazionale è cresciuto al 30%, anche grazie a forti politiche di collaborazione”.

IL PROGRAMMA F-35

Al momento, il programma F-35 è “un esempio di sostenibilità internazionale, per cui sussistono contemporaneamente accordi governativi; collaborazione industriale ed economie di scala”. Un programma che coinvolge 14 Paesi e che vede l’Italia nel ruolo di partner di secondo livello, con diversi primati: “Primo paese ad aver costruito un F-35 fuori dagli Stati Uniti sia nella versione A che B; primo paese ad aver sorvolato l’Atlantico con un F-35; primo paese ad aver dichiarato la capacità operativa iniziale dopo gli Stati Uniti; primo paese ad aver svolto una missione Nato con l’F-35”. Il programma è ancora in crescita, e ciò alimenta le opportunità per il sito novarese di Cameri, unico centro di assemblaggio e verifica finale (Faco) in Europa per il velivolo di quinta generazione.

LE OPPORTUNITÀ PER L’ITALIA

L’obiettivo italiano, spiegato di recente dal ministro Lorenzo Guerini, è avere più lavoro. Dal quadro illustrato da Piantadosi le opportunità ci sono. “Si prevede che nel corso del programma, gli F-35 di stanza in Europa potranno essere dai 500 ai 700”, includendo anche i velivoli statunitensi operanti nel Vecchio continente, ma senza contare Belgio e Polonia, entrati da poco. In più, “molti altri Paesi europei hanno manifestato interesse verso l’F-35”, comprese Finlandia e Svizzera, in cui sono in corso le gare, Emirati Arabi, Repubblica ceca e Romania. Si punta dunque ad aumentare il ritorno per l’industria italiana, pari a 4 miliardi di euro fino al 2019, come notato dalla Difesa italiana nel recente documento programmatico. Ritorno, ha detto Piantadosi, “di cui non beneficia soltanto Leonardo, ma un largo numero di piccole e medie imprese che agiscono come fornitori o sub-fornitori del programma”. Per aumentarlo, serve l’impegno congiunto di istituzioni, difesa e industria, per proporre “un centro di eccellenza come quello di Cameri per i futuri acquirenti”, ha ricordato Piantadosi.

NUOVI PROGRAMMI IN ARRIVO

Ma l’F-35 è solo il primo tra i grandi progetti ad aver aperto a una nuova fase per la modernizzazione della Difesa. Gli Stati Uniti, ha ricordato Piantadosi, guidano la ricerca sul campo, volta a preservare “il vantaggio competitivo” rispetto agli avversari. Tale impulso strategico ha dato avvio a “nuovi grandi programmi, non evolutivi, bensì transformational, o rivoluzionari”. Ruotando intorno al concetto di “Jado”, acronimo per Joint All Domain Operations, in cui “ogni elemento è parte di un sistema” (sul punto aveva riferito in commissione anche il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Alberto Rosso). Si tratta, ha spiegato Piantadosi, “di operare contemporaneamente in ogni dominio con approccio olistico, per dotarsi di capacità integrate a disposizione dello strumento militare, consentendo alle Forze armate di intraprendere azioni multiple, simultanee e complesse a una velocità che gli avversari non possono eguagliare”.

“NEXTGEN” DEGLI AFFARI MILITARI

Da qui l’espressione “NextGen” apposta a molti dei nuovi programmi americani. “Hanno tutti un denominatore comune: la capacità di raccogliere, fondere e disseminare una quantità enorme di dati in tempi velocissimi per agire o reagire immediatamente con efficacia e millimetrica precisione”, ha detto il rappresentante di Lockheed Martin. Ciò si concentra su tecnologie dirompenti, le cosiddette “Jado gaps”, individuate come “aree da colmare”. Si va dall’ipersonico ai laser a energia diretta, dall’applicazione trasversale dell’intelligenza artificiale al volo autonomo.

IL SALTO PER GLI ELICOTTERI

Si inserisce in questo contesto l’ambito dei Future Vertical Lift, ovvero il salto generazionale per gli elicotteri. Piantadosi ha parlato di “una tecnologia trasformazionale, che non solo catapulterà i velivoli ad ala rotante nella quinta generazione, ma ne trasformerà il modo di volare, di accelerare e decelerare, di manovrare, e soprattutto ne incrementerà la velocità e la distanza in maniera significativa, ne ridurrà il rumore e i consumi ed ne modificherà il modo di fare manutenzione con tecnologie avanzate di analisi predittiva”. Si tratta di “Next Generation Fast Helicopter”, con velocità che superano i 400 chilometri orari. “Siamo all’inizio di una nuova era”, ha spiegato Piantadosi.

LA TECNOLOGIA RIVOLUZIONARIA

Gli Stati Uniti guidano tale salto, avendo già inaugurato due programmi nel campo: il Fara per gli elicotteri da ricognizione e scorta, e il Flraa per quelli utility medio-pesanti. Avranno la capacità di volare con due piloti, uno solo, oppure senza; saranno connessi e inseriti nel concetto Jado. La rivoluzione è per Lockheed Martin nella “tecnologia X2”, a doppio rotore, sviluppata dalla controllata Sikorski. Tecnicamente, “il contro-rotore superiore elimina la necessità di avere un rotore di coda, poiché l’elicottero non si avvita su se stesso; quindi si è potuto installare un propulsore che in fase di volo può spingere l’elicottero a velocità impensabili sino ad ora”. Tecnologie come questa, ha detto Piantadosi, “sono il frutto di dieci anni di sviluppo, circa 1 miliardo di dollari investimenti e 900 ore di test tra quelli a terra e in volo”.

OPPORTUNITÀ DI COLLABORAZIONE

“Già ci sono state numerose manifestazioni di interesse da parte di molti Paesi”, ha spiegato il direttore Europa e Nato di Lockheed Martin, e non è un segreto che anche l’Italia guardi con interesse al campo. Il Future Vertical Lift è citato tra i programmi del Documento programmatico pluriennale della Difesa, nonché nelle audizioni di diversi vertici militari. “L’Italia – ha concluso Piantadosi – grazie alla sua industria nazionale elicotteristica, si candida tra i pochi Paesi che potrebbero approfittare di un’opportunità unica di collaborazione con enormi potenzialità in Europa e sui mercati internazionali, rafforzando il legame transatlantico”.

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