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Centro, il luogo della riforma del sistema italiano

Di Giancarlo Chiapello

Tutti guardano al centro che, dopo venticinque anni di fallimentare prova di sé del bipolarismo dell’odio imperniato sul distorsivo sistema elettorale maggioritario, fino al secondo governo Conte, ha in qualche modo esteso i suoi effetti e torna a essere di nuovo una potenziale proposta politica. L’opinione di Giancarlo Chiapello

In questi giorni sono usciti due interessanti articoli sullo stesso argomento declinato in maniera totalmente diversa, si potrebbe dire in assoluta antitesi.

L’argomento è di stretta attualità politica, si tratta del “centro” quale luogo politico in un sistema, quello italiano che, con l’avvento del governo Draghi, che rappresenta un modello eccezionale in un tempo eccezionale, è destinato a cambiare. Il primo, uscito il 20 febbraio su Avvenire a firma di Luca Diotallevi, si intitola “Il governo Draghi. Se l’ital-politica torna a farsi istituzionalmente al “centro””, il secondo è l’editoriale dell’ultimo numero del periodico digitale “Comunità di connessioni” di padre Francesco Occhetta, ripreso il 22 febbraio da Famiglia Cristiana col titolo “Il governo Draghi e l’elogio del centro politico”.

Tutti guardano al centro che, dopo venticinque anni di fallimentare prova di sé del bipolarismo dell’odio imperniato sul distorsivo sistema elettorale maggioritario, fino al secondo governo Conte, ha in qualche modo esteso i suoi effetti e torna a essere di nuovo una potenziale proposta politica.

Nella realtà dell’attuale dinamica politica si confrontano due impostazioni possibili: l’una è il centro radicato nel popolarismo, (che per il suo fondatore, don Luigi Sturzo o è centrista o non è), nella tradizione originale democratico cristiana italiana, senza nostalgie organizzative, con l’urgenza, per rifarsi ad un’immagine evangelica, di otri nuovi, con interpreti che non siano quelli che hanno guidato o giustificato afonia, decadenza ed irrilevanza, con una necessaria prospettiva di partenza di ricomposizione di cattolici intorno a un pensiero proiettato nell’alveo del Partito Popolare Europeo e dell’Internazionale democristiana. L’altra, rappresentata dall’azione di Matteo Renzi ed altri richiamati intorno ad essa, mutuerebbe la sua definizione dalla politica francese per arrivare ad una sorta di “centro macroniano” in una dimensione europea che si richiama a generici valori riformisti e liberaldemocratici ma, in concreto, anche alla luce dell’azione politica del presidente Macron, ipotizzabile legato ad una visione radicaleggiante.

Dunque, all’interno di questo serrato confronto dove il rischio che si corre è quello di tornare a pensare al centro come una sorta di parco buoi elettorale, meramente moderato da cui strappare pezzi per la destra o la sinistra, si pongono le riflessioni citate all’inizio. Quella di Diotallevi ha certamente una visione più proiettata verso il futuro, è più ambiziosa, ricordando che “in democrazia, il vero centro politico non è quello che custodisce rendite di posizione o, come si è fatto credere, piccoli gruppi di parlamentari disponibili alle più diverse maggioranze. In democrazia il “centro” è lo spazio che contiene le opzioni decisive allo stesso tempo alternative e compatibili: opzioni alternative perché la democrazia è competizione, opzioni compatibili perché non compromettono il quadro democratico”. La ridefinizione e ancor più la re-istituzionalizzazione del centro è ciò di cui la democrazia italiana ha bisogno sin dal passaggio tra gli anni 80 e gli anni 90 del Novecento…”.

Questo centro definito da caratteristiche precise, che pone fuori le parti estreme di destra e sinistra, è assai diverso dal tentativo di creare qualcosa intorno non a un pensiero ma alla figura dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, una posizione sposata per settimane da molti progressisti o ex democristiani “responsabili” (sic!) che ha rappresentato, probabilmente, una delle punte della decadente stagione dei “cattoconsulenti” (posizione che appare oggi in avanzato stato di conversione al nuovo presidente del Consiglio).

Occhetta, invece rimane sostanzialmente sulle sue posizioni tradizionali, e afferma “il “centro” politico, inteso come “centralità”, è però molto di più di un’area: è un metodo, un processo antropologico ed etico, si qualifica dal gradualismo delle riforme, dalla moderazione dei linguaggi e dalla cultura della mediazione, tesa a cercare punti di “equilibrio validi per tutte le parti”: insomma, siamo alle solite, si delinea un centro fatto di mero mestiere, disconoscendolo come luogo di una cultura politica definita e precisa, (con questo mantenendo una posizione molto lontana da quella popolare) e, di fatto, confondendola con il moderatismo che può andare a servizio di tutti.

È il meta-luogo cioè è una mera posizione di convergenza riconoscendo, da parte dell’autore, di fatto solo destra e sinistra: “La centralità politica è come la rosa dei venti: rappresenta il punto di intersezione dove le politiche di ‘destra’ e di ‘sinistra’ e le nuove politiche del ‘nord’ e del ‘sud’ sono obbligate a passare per mantenere il Paese nel suo assetto democratico inscritto nella Costituzione”.

Non appare naturalmente così, quanto meno a nessuno che si rifaccia alla tradizione nata da Sturzo, perché sarebbe la riproposizione, di fatto, nella pratica, del frontismo artefatto della pessima, cosiddetta, Seconda Repubblica che oggi serve superare probabilmente insieme a interpreti e ideologi.

Serve ribadirlo: il centro esiste in quanto luogo di un pensiero, di una base valoriale, al pari delle culture degli altri luoghi politici e ciascuno di essi può avere declinazioni e stili pratici più o meno moderati, più o meno riformisti, più o meno conservatori.

Dunque, cosa può essere criticabile nella riflessione del padre gesuita? La confusione tra centralità e centro, di cui non si riesce proprio a pronunciare le definizioni precise legate a chi lo incarna, al massimo citati singolarmente, ossia popolari/democristiani (quelli non ridotti a fare i mestieranti in giro) in quell’ottica della democrazia integrale che ha bisogno delle identità politiche capaci di confronto, scontro, dialogo, secondo l’impostazione della Costituzione quale programma di popolo come definita da Giorgio La Pira che spinge nella direzione indicata da De Gasperi: “Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare verso la giustizia sociale. Vuol dire che bisogna muovere lo Stato a servire di più il popolo e le classi popolari” che era poi la strada per contendere le masse popolari alle sinistre distinte da destra mettendo in campo proprio l’originalità del centro, o meglio, un centro che guadagna la centralità conquistandola nelle urne. Ed è qui che si può riprendere il pensiero di Luca Diotallevi: “Senza proiettare alcuna ipoteca sul suo protagonista, l’operazione Draghi costituisce l’occasione per una profonda riflessione del cattolicesimo italiano quanto ai suoi modi di esercitare – o di trascurare o di barattare – la propria responsabilità politica. Il punto non sono le forme… il punto è un altro. Di fatto il cattolicesimo politico italiano ha dato il meglio di sé e il meglio per la Repubblica e la democrazia non quando ha occupato o cercato di sfruttare il centro e le sue rendite di posizione, ma quando ha cercato di conquistare democraticamente il ‘centro’, di esprimerlo e di interpretarlo… se avverrà di nuovo è molto probabile che avvenga in forme ancora una volta diverse. Tuttavia la domanda che si impone per prima non è come avverrà, ma se avverrà”.

Questa sollecitazione a riprendere una responsabilità politica obbliga a mettere da parte le ideologiche fratture tra cattolici (lo scontro tra cristianisti e progressisti è ormai tanto dannoso quanto inutile ed appartiene allo schema che si cerca di superare) e lavorare soprattutto con i giovani per ricostruire un testimone da passare loro, un pensiero per l’avvenire. Non si possono più crescere meri mestieranti della politica che non sanno chi sono ma agiscono per occupare spazi piuttosto che innescare processi!

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